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AMBIENTE L’eco dell’Expo nella battaglia ai pesticidi. «Api da salvare»

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Nutrire il pianeta, energia per la vita. Risuona come una eco flebile lo slogan di Expo 2015 nella sala del teatro Parenti dove un gruppo di scienziati parla di biodiversità e di api ad una platea preoccupata. Su un grande schermo, il botanico marchigiano Fabio Taffetani, in apertura della serata «Api in Comune» — tavola rotonda, happy hour e poi spettacolo «La Solitudine dell’Ape» di Andrea Pierdicca — lascia scorrere immagini choc di campi di casa nostra un tempo fertili e verdeggianti che l’uso di pesticidi ha ridotto ad aridi deserti e a dirupi franosi. Il filosofo Salvatore Veca richiama quello slogan che ci ha accompagnato per mesi e che non va archiviato in fretta. «L’agricoltura — dice — è una tessera del mosaico della vita buona». E la testimonianza di agronomi, botanici, medici e poi degli apicoltori dicono che siamo di fronte ad una scelta tra continuare ad avvelenare il pianeta con le molecole che terminano in «-cidi» (pesticidi, insetticidi) oppure voltare pagina. E che sia la città, la grande metropoli, a farlo per prima? Può essere, se si piantano papaveri e fiordalisi nelle aiuole, se si creano corridoi verdi e cerniere tra le isole di biodiversità per le farfalle. Se si portano, come ha detto di voler fare Elena Grandi, consigliera Verde, le api sul tetto della Scala così da «vendere un domani ai turisti il miele come fa l’Opera di Parigi». Annuisce Giulia Maria Crespi, presidente onoraria del Fai, seduta in prima fila, che in serata salirà sul palco con la regista Andrée Ruth Shammah ad introdurre la performance teatrale. Ed eccoci alle api, protagoniste assolute della giornata pensata da Cristina Rodocanachi. Per produrre un chilo di miele devono percorrere tanta strada, l’equivalente del giro del mondo. Se dovessero scomparire, all’uomo rimarrebbero solo quattro anni di vita sul pianeta. Se c’è poco cibo, si sacrifica la covata per tenere in vita la regina. Se non c’è cibo per tutti dopo una grande carestia, le bottinatrici si lasciano morire, per garantire un futuro alle nuove generazioni. E perché allora invece di un diserbante non piantare calendule vicino ai guard-rail e sulle mura antiche non lasciare arrampicare fiori locali, come sulle mura di San Gimignano coperte da rigogliose piante di cappero.
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