Blog Expo: Il rito del tè nel mondo dalla Cina all’Inghilterra

Il rito del tè nel mondo dalla Cina all’Inghilterra



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ISTANBUL - Salato, freddo, con foglie di menta, con cardamomo o con anice stellato: ci sono mille modi per bere il tè, bevanda ricavata dall’infuso di foglie di Camellia sinesi Kuntze con l’aggiunta di spezie, erbe ed essenze. Nata nel III secolo nella Cina meridionale è la bevanda più conosciuta e popolare al mondo, soprattutto in Oriente dove originariamente veniva preparata con foglie cotte a vapore, pestate in un mortaio e ridotte a un panetto che veniva poi bollito con riso, zenzero, sale, buccia di arancia, spezie, latte e a volte cipolle. Nei secoli la bevanda si è diffusa con ingredienti e modi diversi di prepararla: ogni Paese, infatti, ha un modo riconoscibile di degustarla, spesso con cerimonie e riti tradizionali che meritano di essere conosciuti. Ed’ proprio dalla Cina che partiamo per un viaggio intorno al rito del tè.
Secondo un’antica leggenda l’uso del tè venne scoperto nel 2737 dall’imperatore cinese Shen Nung, a cui cadde incidentalmente una foglia di tè in una tazza d’acqua calda. Da allora il tè divenne una bevanda popolare e diffusa, accompagnata da un rito molto suggestivo che si chiama Gongfu Cha. E’ un modo raffinato di servire il tè seguendo regole precise: si riempie metà teiera in ceramica di foglie di tè, si versa acqua calda sulle foglie e dopo qualche istante si getta la prima infusione su un vassoio di legno dotato di un serbatoio; quindi si ripete l’operazione gettando acqua bollente sulle foglie già ammorbidite e si sorseggia il tè come un liquore in minuscole tazze di ceramica sottile, quasi trasparente. Generalmente si ripetono fino a 6 operazioni sulle stesse foglie di tè e ogni infusione risulta diversa dalla precedente; gli intenditori amano in modo particolare la seconda e la terza, perché risultano essere le più equilibrate. In Cina le varietà di tè sono tantissime, anche se quella verde è la più diffusa: il Long Jing è senza dubbio il miglior tè, apprezzato per il suo carattere tostato e il sapore fruttato, mentre il Pi Lo Chun è una varietà molto rara, prodotta da germogli lanuginosi e da giovani foglie che si trovano solo nelle montagne del Dong Ting. Sono popolari anche la varietà ai fiori di ibisco, giglio e gelsomino, profumatissima e dall’aroma delicato.
Ancor più affascinante è la cerimonia del tè che si fa in Giappone: la Chado o Cha no yu, un rito secolare influenzato dal Buddismo Zen, codificato da Sen no Rikyu, famoso maestro del tè, che ha dato vita a una vera arte meditativa basata sui concetti di armonia, rispetto, purezza e tranquillità. La raffinata cerimonia, sviluppata nel corso del XV secolo, si svolge all’interno di piccoli edifici di legno situati in giardini ricchi di acqua e di rocce, e coinvolge sia chi prepara il tè sia gli ospiti, che seguono precise regole di abbigliamento e di etichetta. La casa del tè, infatti, comprende una sala da cerimonia, una stanza per la preparazione e una piccola sala d’attesa. Per il rito, che tradizionalmente dura 4 ore, si usano la ciotola chawan, il contenitore chaire, il frullino di bambù chasen e il dosatè di bambù chashaku. Nella prima parte viene servito un pasto leggero di sette portate e nella seconda si servono il tè denso koicha e quello più leggero usucha; in questa seconda parte il maestro del tè lava il frullino e la tazza e li asciuga lentamente con un fazzoletto, quindi prende il contenitore del tè, preleva la polvere di tè verde, e versa un mestolo d’acqua bollente in una ciotola e lo mescola con il frullino fino a ottenere una schiuma finissima, chiamata “schiuma di giada”. Mentre il cerimoniere mette la ciotola vicino al braciere con il bollitore dell’acqua, l’ospite si avvicina con un inchino e prende la ciotola mettendola sul palmo della mano sinistra e dopo aver bevuto un sorso, pulisce il punto della tazza da cui ha bevuto e passa la ciotola ad altri ospiti. Tra le tante varietà di tè, la più diffusa in Giappone per la tradizionale cerimonia è la matcha, polvere di tè verde nota per le sue proprietà antiossidanti; le altre sono il bancha, profumato e digestivo, e il sencha, perfetto per accompagnare il sushi.
Restando in Oriente, in Tibet si beve il Po Cha, tè nero Pemagul con burro e sale, raccolto in grandi termos colorati. I tibetani amano mescolare una noce di burro di yak, sale, zenzero e latte alle foglie di tè sminuzzate, macerate e versate poi nell’acqua bollente. L’uso insolito del grasso è quasi un’esigenza per la popolazione che vive in alta quota e deve affrontare le rigidissime temperature dell’Himalaya.
Il tè delle 5 del pomeriggio è il rito più diffuso e popolare tra le tradizioni britanniche: ogni giorno in Gran Bretagna si bevono 120 milioni di tazze. Citato per la prima volta nel 1660, il tè è diventato una consuetudine pomeridiana, grazie alla settima duchessa di Bedford che nel XIX secolo la fece diventare una vera istituzione. Il rito dell’afternoon tea venne subito accompagnato da regole di etichetta e dalla nascita di accessori e utensili, come le scatole in cui conservare le foglie fragranti, gli infusori, le zuccheriere, le lattiere, le teiere e i servizi da tè in porcellana o d’argento. Per accompagnare il tè, sono nati dolci alla marmellata, piccoli sandwich come quelli famosissimi al cetriolo, muffin e crumpets, succulenti frittelle. Oggi il rito del tè pomeridiano è presente in ogni famiglia inglese anche se la bevanda viene consumata a ogni ora, quasi sempre accompagnato dal latte. La preparazione del tè segue cinque regole, adatte alla varietà più diffusa in Inghilterra, quella nera in foglie spezzate, una miscela proveniente da Ceylon e dall’Africa: si riscalda la teiera con acqua bollente, si aggiunge un cucchiaino di tè per persona più uno per la teiera, si versa l’acqua calda sulle foglie e si tiene in infusione da tre a cinque minuti; infine si mescola e si serve.
In Marocco la cerimonia del tè è una parte imprescindibile della cultura dell’ospitalità nordafricana: ovunque, nei locali o per strada, si assiste al bellissimo rito del tè verde cinese Gunpowder, fresco e dissetante, un’aromatica miscela di foglie di menta e addolcita da 5 zollette di zucchero. Rifiutare un bicchiere di tè, in Marocco, è una vera offesa all’ospitalità locale. La tradizione del tè caldo marocchino è legata alla cultura nomade dei beduini, che da secoli utilizzano questa bevanda per dissetarsi e far fronte agli sbalzi termici delle regioni desertiche. La cerimonia Atay Naa Naa è accompagnata da gesti lenti e ben calcolati che generalmente il capo famiglia svolge a fine pasto o durante la giornata in alti bicchieri decorati posti su un grande vassoio cesellato. Nella preparazione si mette un po’ di tè verde in due teiere di metallo dalla forma panciuta e con un lungo beccuccio, i Barrad; poi si aggiunge una tazza di acqua bollente e si versa in un bicchiere che si tiene da parte, errouh o anima del tè. Quindi si versa di nuovo acqua bollente nella teiera e si risciacquano le foglie per toglierne lo sfondo amaro; in ogni teiera si aggiungono foglie di menta, un grosso pezzo di pan di zucchero, l’anima del tè e l’acqua bollente. Dopo pochi minuti di infusione, si mescola l’infuso, lo si passa in un bicchiere e poi di nuovo nella teiera; dopo averlo assaggiato, si alza la teiera ad almeno un metro dai bicchieri e si versa il tè da offrire agli ospiti. Il tè viene accompagnato da squisiti dolci e generalmente viene offerto in tre bicchieri. I nomadi del deserto, invece, usano per il rito piccole teiere in metallo smaltato, riempite di foglie di tè, acqua e zucchero.
La tradizionale teiera in Russia è il samovar, letteralmente “che bolle da sè”: inventato agli inizi del Settecento, è un grande bollitore, simile a una caldaia, che contiene diversi litri d’acqua per la preparazione del tè. Spesso nei romanzi veniva descritto come fonte di calore attorno al quale la famiglia si riuniva e come momento di convivialità. Viene ancora usato, soprattutto nelle zone rurali, ma se un tempo un pezzo di carbone di legna veniva acceso nella parte centrale del samovar, oggi è elettrico con un concentrato di tè nella parte superiore e un termostato che regola la temperatura dell’acqua a seconda dei diversi tipi di miscela. Quando l’acqua comincia a bollire viene versata da un piccolo rubinetto sul profumatissimo concentrato di foglie di tè, preparato nella piccola teiera collocata al di sopra del samovar. Il tè viene bevuto zuccherato in tazze o bicchieri con sottopiatti e, secondo un’antica tradizione, si beve tenendo una zolletta di zucchero tra i denti e sorseggiando la bevanda.
Il tè in India si chiama chai e si beve arricchito con cannella, cardamomo, pepe nero e chiodi di garofano e addolcito con latte caldo e zucchero, talvolta con zenzero fresco grattugiato. E’ probabilmente la bevanda più diffusa, introdotta dagli inglesi agli inizi dell’800, e si consuma caldissima in bicchierini di vetro, altre volte in ciotole di terracotta, nelle case, nei locali e persino per strada. D’altronde l’India è con la Cina uno dei produttori mondiali maggiori di tè, in particolare di masala chai, un tè nero aromatizzato con spezie. In realtà la pianta del tè era presente nel Paese da millenni, ma l’infuso di foglie veniva usato solo come medicinale; dal 1830 gli inglesi lo diffusero come bevanda e soprattutto lo resero uno dei prodotti più redditizi dell’economia coloniale del Regno.
Anche in Turchia il tè è una bevanda molto diffusa: il cay, tè nero dal gusto e dall’aroma forti proveniente dalle regioni del Mar Nero, viene servito in bicchieri decorati a forma di tulipano. Anche la teiera è particolare e decorata: è divisa in due e dalla parte superiore il tè scende verso il basso dove viene diluito con acqua bollente.
In Sudamerica, soprattutto in Argentina e in Uruguay, la bevanda più diffusa è il mate, un infuso di foglie, seccate e sminuzzate, con un procedimento simile a quello del tè. Il consumo di mate è un rito quotidiano: si beve caldissimo, sorseggiandolo da una cannuccia di metallo infilata in un fiaschetto a forma di zucca dopo i pasti o durante la giornata.

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