L’internamento del sottotenente Giovannino Guareschi a Roma in una esposizione dal titolo “6865”. Per non dimenticare tutti gli italiani che dissero “no” al nazifascismo
Don Camillo, Peppone e il Candido sono nati nei lager dopo quel 1943 che vide oltre 650mila Imi, gli internati militari italiani, essere imprigionati per aver detto “no” al nazifascismo dopo l’8 settembre. Giovannino Guareschi è uno di questi testimoni. A lui, a Roma, è dedicata una mostra che racconta le drammatiche condizioni umane e psicologiche che dovettero subire lui e tutti coloro che scelsero di compiere una “resistenza senz’armi” ad oltranza.
“Tra i 650.000 soldati, sott’ufficiali e ufficiali, disarmati dalle truppe tedesche nei vari fronti, c’era anche il Sottotenente Giovannino Guareschi, catturato ad Alessandria il 9 settembre 1943, internato a Bremervoerde-Sandostel, Czestokowa, Beniaminovo, Wietzendorf” spiega il professore Enzo Orlanducci, presidente emerito dell’Anrp, l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento, dalla guerra di liberazione e loro familiari. Un ente che da decenni mantiene sveglia la memoria su quanti, come Guareschi, hanno scritto pagine drammatiche di vita nei lager.
Guareschi compì la sua “buona battaglia” per venti mesi. Il mancato riconoscimento “dello stato giuridico di prigionieri di guerra, con la sottrazione di quei diritti alla protezione, alla salute e alla dignità, consentì l’utilizzo dei militari italiani come forza lavoro in turni massacranti e nelle mansioni più pesanti, per l’economia bellica del Terzo Reich – sottolinea Orlanducci -. I continui appelli, i tormenti della fame, del freddo e delle violenze, ritmati dai tempi del lavoro coatto e di corvées, i frequenti trasferimenti, i continui bombardamenti aerei delle fabbriche e degli annessi campi di lavoro, determinarono circa 50mila deceduti”.
Nel mondo concentrazionario, nonostante tutto, fondamentali ai fini della sopravvivenza “furono la speranza sempre viva, la religiosità, la fede, la cultura, oltre che la vita collettiva – prosegue Orlanducci -. In quei particolari luoghi, al di là di egoismi e di incomprensioni che dipendevano molto dall’organizzazione e dalla disciplina applicata, sorsero amicizie che sono poi resistite nel tempo. Tra queste è giusto ricordare l’amicizia di Guareschi con il musicista e compositore Arturo Coppola, l’attore Gianrico Tedeschi, il disegnatore Giuseppe Novello, il poeta Roberto Rebora, il filosofo Enzo Paci e tanti altri”.
Emblematica la riflessione di Giovannino Guareschi, ripresa da Claudio Sommaruga nel volume Il dovere della Memoria: “Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo da noi, con niente, la ‘Città Democratica’. Una ‘Città’ costruita da tutti, da tutti difesa, perché l’internato operò ‘una scelta continua’ nel Lager, durata venti mesi, stressante ed unica nella storiografia delle prigionie di massa”. La riduzione a un numero, marcato su una piastrina da portare sempre con sé, era uno degli elementi particolari degli “abitanti” dei lager che conservarono la loro dignità, negando il loro sostegno politico, militare e civile al nazifascimo.
"Giovannino Guareschi è il leader morale degli internati, dei quali sostiene lo spirito grazie all'arma dell'umorismo che poi trasferirà sul Candido e nel Mondo piccolo: arma di una politica inflessibile verso l'avversario ma sempre rispettosa del valore umano. Per questo non apprezzerà l'Italia rapidamente convertita all'antifascismo del dopoguerra e animata da uno scontro fratricida che sembra proseguire la guerra civile, vorrebbe invece che gli italiani si sentissero sempre pienamente fratelli - spiega Marco Ferrazzoli, giornalista e curatore della mostra allestita in via Labicana, nella sede dell'Anrp -. Insieme a questo suo nazionalismo coltiva un senso religioso profondo, un cristianesimo di radice estremamente popolare che in prigionia si esprime tra gli altri nella “Favola di Natale”.
Il terzo elemento della sua umanità che si cementa nel lager è quello della famiglia: eppure, nonostante ciò, resiste alle lusinghe che lo tentano di tornare a casa mettendosi al servizio dei tedeschi come giornalista e sconta tutta la lunga e dura detenzione in Germania e Polonia - aggiunge Ferrazzoli -. Nonostante il contributo fornito alla causa cattolica e a quella democristiana nelle elezioni del 1948, quando è uno dei principali artefici della vittoria contro il Fronte Popolare, i rapporti con taluni ambienti clericali non saranno sempre del tutto pacifici, soprattutto in occasione della controversia che lo oppone a De Gasperi. Ma l'appoggio del popolo cattolico non viene mai meno, come pure quello dei pontefici che hanno a più riprese manifestato la stima per l'autore di Don Camillo. Ultimo Papa Francesco, che ha citato il prete guareschiano come modello di rapporto pastorale tra sacerdote e fedeli".
Una figura, quella di Giovannino prigioniero, poco conosciuta, nonostante il suo Diario clandestino 1943-1945 pubblicato nel 1949 e più volte dato alle stampe. Un volumetto dedicato “ai compagni che non tornarono”. Un’esperienza che lo segna profondamente e che emerge dai pannelli della mostra e dalle fotografie inserite nel catalogo, grazie anche alla collaborazione del figlio Alberto Guareschi che ha, come sottolineata Orlanducci “spalancato il forziere delle memorie di famiglia”.
Che cos'è l'Anrp
L’Anrp, che ospita la mostra svolge un’intensa attività di studio, documentazione e ricerca, convegnistica, editoriale di aggiornamento, promozione sociale, patronato ed assistenza a livello internazionale. Dispone una biblioteca specializzata, di un archivio fotografico e di una videoteca, di un sito web www.anrp.it, edita il mensile Liberi e il trimestrale Le porte della memoria, ha pubblicato un centinaio di titoli e ha reso disponibili le ricerche sugli Imi realizzate nell’ambito del programma “Europa per i cittadini”. Sta inoltre realizzando il Lebi, Lessico Biografico Imi. Nella sede nazionale di Roma, via Labicana 15/A ha creato e gestisce il museo interattivo multimediale “Vite di Imi”
avvenire.it
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