Blog Expo: mostra
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Il Sassetta riunisce i capolavori di pittura senese del '400

Grande protagonismo al Museo di San Pietro all'Orto di Massa Marittima (Grosseto) per Stefano di Giovanni detto il Sassetta (1392-1450), il più importante pittore senese del primo '400 a cui è dedicata una mostra dal 14 marzo al 14 luglio.

La rassegna riunisce 50 opere coeve e ci sono degli inediti fra cui, per la prima volta in pubblico, una Madonna con Bambino scoperta di recente dallo storico Alessandro Bagnoli sotto una pesante ridipintura di un'opera proveniente dalla pieve di San Giovanni Battista a Molli di Sovicille (Siena).

 Il restauro di Barbara Schleicher ha restituito a piena leggibilità la Madonna con Bambino 'coperta' da altri colori di un altro soggetto mariano. Bagnoli ha riconosciuto questo capolavoro del Sassetta partendo dal particolare degli occhi. La mostra, curata da Bagnoli, parte da un pretesto simile a quello di una precedente dedicata a Ambrogio Lorenzetti cioè la presenza a Massa di un'opera dell'artista. A San Pietro infatti c'è un Arcangelo Gabriele del Sassetta, piccola tavola un tempo fra le cuspidi di una pala d'altare. Insieme all'Angelo sono esposte opere prestate da musei ed altri enti di cui 26 dello stesso Sassetta mentre le altre sono di artisti del solito contesto senese fra cui il Maestro dell'Osservanza, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, Pietro Giovanni Ambrosi e Domenico di Niccolò dei Cori. Mancherà, però, la Vergine Annunciata, protagonista della stessa pala dell'Angelo, che non è stata fatta tornare, neanche per il tempo della mostra, dalla Yale University Art Gallery a New Haven.
    Il Sassetta, a Siena dal 1423 al 1450, immise i fermenti del Rinascimento nella grande tradizione trecentesca senese. A Massa Marittima fra i suoi capolavori sono visibili, una Madonna con Bambino dell'Opera di Siena, la Madonna delle Ciliegie, i Quattro Protettori, i Quattro Dottori della Chiesa, Sant'Antonio bastonato dai diavoli, Ultima cena. Esposti per la prima volta due profili di artisti 'sassetteschi': Nastagio di Guasparre, noto come Maestro di Sant'Ansano, e il Maestro di Monticiano.
    Altri' mai visti' sono un gentile Sant'Ansano, una Flagellazione, una scultura con le Stigmate San Francesco.

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Sogni appesi a un filo, a Reggio Emilia marionette e avanguardia per la nuova mostra di Palazzo Magnani di Reggio Emilia

Dal 17 novembre Palazzo Magnani dedica una mostra alle marionette e agli artisti che hanno guardato al gioco creativo come a una fonte di ispirazione estetica per cercare nuove modalità di espressione visiva. Ad accogliere i visitatori i costumi a grandezza naturale disegnati da Picasso per il balletto Parade, di Djaghilev, oltre a una folla di puppets: marionette e burattini dai più antichi, come i Pulcinella o gli Arlecchino della Commedia dell’Arte, a quelli di Otello Sarzi, reggiano di adozione, realizzati con materiali sperimentali
Il prestigiatore cinese; Scene e costumi di Pablo Picasso per il balletto “Parade”; prima rappresentazione Parigi, 1917. Musica di Erik Satie; Coreografia Léonide Massine. Costume ricostruito da Anna Biagiotti nel 2007 per la rappresentazione al Teatro dell’Opera di Roma. Ballerino Manuel Parucchini, Primi Ballerini, Solisti, e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma © Teatro dell’Opera di Roma, Archivio Storico
REGGIO EMILIA – A Palazzo Magnani dal 17 novembre 2023 al 17 marzo 2024, una mostra-spettacolo assolutamente originale, mai vista prima in Italia o all’estero. Ad andare in scena sarà “Marionette e Avanguardia. Picasso · Depero · Klee · Sarzi”, coordinata da James Bradburne, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Palazzo Magnani.
Fortunato Depero, Gatto nero (Marionette dei “Balli Plastici”); 1918 (ricostruzione 1980) legno, 60 x 45 x 9 cm Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto – Fondo Depero (MD 0027-f) Foto © Archivio fotografico e Mediateca Mart
La mostra si sviluppa attorno al concetto di “quarta parete”, ovvero la capacità di coinvolgimento emotivo di uno spettacolo ben riuscito, capace di immergere lo spettatore nella storia messa in scena. Quando una marionetta o un burattino rompe la quarta parete, conquista la fiducia del pubblico, dando allo spettacolo il potere di sfumare quella divisione tra palcoscenico e mondo, tra arte e vita. A capirlo bene sono stati quegli artisti – protagonisti del mondo dell’Arte e del Teatro di figura – che, piuttosto che liquidare le marionette e i burattini (in inglese si usa per entrambi il termine puppets) come semplici giochi per bambini, hanno preso sul serio il loro entusiasmo e anzi, hanno guardato al “gioco creativo” come a una fonte di ispirazione estetica per cercare nuove modalità di espressione visiva. La nozione stessa di “bambino” come distinto dall’adulto si è manifestata in vari modi nel corso del Novecento e ha stimolato alcuni artisti a sfruttare il potenziale educativo del “teatro di figura”, spesso apparentemente legato ai bambini, per creare un mondo migliore e migliorare i cittadini in un momento cruciale del loro sviluppo. Mentre alcuni artisti vedevano il potenziale delle marionette e dei burattini per immaginare un mondo migliore, i satirici usavano spettacoli trasgressivi e pungenti per attaccare l’establishment politico. Rivolgendosi a un pubblico adulto e attingendo a una solida tradizione di satira politica del “teatro di figura”, i burattini, in particolare, sono stati usati anche per criticare le condizioni politiche e sociali. La miniatura di un burattino, infatti, lo rende un portavoce sicuro per una protesta a voce alta, perché la sua mordacità è mitigata dalla carineria. Chi potrebbe essere infastidito da un puppet? I burattini dicono la verità al potere in un modo in cui gli attori teatrali tradizionali non possono mai farlo.
Balletto “PARADE”, Scene e costumi di Pablo Picasso; prima rappresentazione Parigi, 1917. Musica di Erik Satie; Coreografia Léonide Massine. Nella foto: rappresentazione al Teatro dell’Opera di Roma, 2007 Scene di Maurizio Varamo; Costumi di Anna Biagiotti; Primi Ballerini, Solisti, e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma © Teatro dell’Opera di Roma, Archivio Storico
Sophie Taeuber-Arp, ideazione ed esecuzione di Angela 1918 (riproduzione 1993) Marionetta per “Il Re Cervo”, Legno tornito e verniciato ad olio, metallo, tessuto cucito a mano Univesità delle Arti di Zurigo / Museo del Design di Zurigo / Collezione di arti applicate
A Palazzo Magnani ad accogliere i visitatori saranno i costumi a grandezza naturale disegnati da Pablo Picasso per Parade, balletto coreografico che i Ballets russes di Sergej Djaghilev portarono in scena a Parigi nel 1917. Poi una folla di puppets: le marionette (manipolate dall’alto) e i burattini (manipolati dal basso), dagli esemplari più antichi, come i Pulcinella o gli Arlecchino della Commedia dell’Arte, a quelli di Otello Sarzi, reggiano di adozione, realizzati con materiali sperimentali. Due palcoscenici (a simulare una baracca e un castelet) allestiti nelle sale a piano terra, consentiranno a tutti i visitatori di cimentarsi con il “teatro di figura”. Grazie alla collaborazione con la Compagnia marionettistica Carlo Colla di Milano e l’Associazione 5T di Reggio Emilia, un ricco programma di micro-spettacoli/performance, interpretati da professionisti del “teatro di figura”, animerà i fine settimana per tutta la durata della mostra. Vedendoli all’opera c’è da chiedersi: “Le marionette e i burattini vanno in paradiso quando muoiono?”, domanda del tutto naturale, collocandosi i puppets in una zona grigia, tra creature viventi e oggetti inanimati. Alcuni protagonisti dell’Arte si sono “appropriati” e cimentati in questa forma d’arte per la loro qualità di incantesimo e ambiguità. I registi come mezzo per sostituire gli attori. Il sogno di dare vita agli oggetti e le conseguenze della loro autonomia hanno affascinato scrittori e artisti da Collodi a Capek, ma anche tanti artisti italiani come i futuristi Enrico Prampolini e Fortunato Depero: le marionette esprimevano un’estetica macchinica, erano astratte e, dopo la devastazione della Prima guerra mondiale, catturavano la triste realtà dei soldati di ritorno amputati e mutilati, come illustrato da Sironi, Carrà e De Chirico.
Otello Sarzi Madidini, Marionetta sperimentale, 1970 circa, Cartone, catenelle e bomboletta spray, 65 20 x 25 cm. Reggio Emilia, Fondazione Famiglia Sarzi foto di Laura Zanoletti e Vincent Giordano
Fino alla fine degli anni Venti, Vienna era una delle capitali culturali europee e, insieme a Berlino, una fucina di creatività nell’arte, nel teatro, nella musica, nella filosofia e nelle scienze. Alla fine del XIX secolo, sull’onda dell’orientalismo, le classiche marionette giavanesi cominciarono ad apparire sulle scene europee. L’artista e illustratore austriaco Richard Teschner, in particolare, sviluppò l’arte della marionetta a bastone fino a raggiungere un punto culminante, che influenzò artisti da Parigi a Mosca. A raccontarlo in mostra la sezione “Sogni dell’Estremo Oriente – Espressionismo viennese”. Grazie alla riscoperta da parte di Oskar Schlemmer del classico di Kleist Sul teatro delle marionette (1810), le marionette, i giocattoli e i giochi per bambini divennero un elemento centrale della pratica del Bauhaus nella Weimar degli anni Venti: Paul Klee, Andor Weininger, Lothar Schreyer, Sophie Täuber Arp e Oskar Schlemmer. L’indagine si sposta quindi sull’avanguardia russa con “Le marionette e la Rivoluzione”. Quando Lenine la moglie Natalia Krupskaya decisero di combattere l’analfabetismo e di formare il nuovo cittadino sovietico, capirono che l’uso delle marionette era l’ideale e, lavorando con artisti, architetti e scrittori di primo piano, figure come Natalia Sats, Samuil Marshak, El Lissitzky, Aleksandra Ekster, Nina Efimova, hanno sperimentato nuove forme di teatro per bambini. L’esposizione si completa con un omaggio a Otello Sarzi (Vigasio, VR 1922 – Reggio Emilia 2001) grazie alla stretta collaborazione con la Fondazione Famiglia Sarzi. Nato da una tradizione di burattinai che durava da generazioni, Otello fu un giovane aiutante della compagnia itinerante di famiglia che, nel tempo, entrò in contatto con alcuni dei protagonisti della scena artistica, teatrale e cinematografica italiana dell’epoca.
Otello Sarzi Madidini, Cavriago (RE), Fondazione Famiglia Sarzi; foto di Laura Zanoletti e Vincent Giordano
Nel 1957, a Roma, Otello inizia la sua opera creativa e innovativa con il “T.S.B.M.” Teatro sperimentale burattini e marionette, intrattenendo importanti collaborazioni, mettendo in scena testi di Brecht (Un uomo è un uomo), Garcia Lorca (Il teatrino di Don Cristobal) e Arrabal (Pic-nic) e realizzando, con tecniche innovative, anche figure molto grandi. Ne è un esempio la figura gigante di carta realizzata da Otello Sarzi per lo spettacolo Mavra di Igor Stravinskij rappresentato al Festival “Due Mondi” di Spoleto nel 1984. La compagnia intraprende tournée anche all’estero e, nel 1969, si stabilisce presso Reggio Emilia, alternando presenze nazionali, europee e internazionali. Frequenti sono le collaborazioni con la televisione italiana. Numerosi i suoi spettacoli di rilievo, spesso anche tecnicamente molto complessi, ambiziosi e sempre caratterizzati da un forte impegno culturale e un’esplicita consapevolezza politica. Otello Sarzi rappresenta, in Italia, uno dei momenti più alti e importanti del “teatro di figura” nel secondo dopoguerra. 
 stampareggiana.it

(segnalazione web a cura di Giuseppe Serrone - Turismo Culturale)

Cera, silicone e specchi, a Palazzo Strozzi arriva Anish Kapoor

Un monumentale blocco di cera rossa che si muove lentamente tra due sale di Palazzo Strozzi, plasmandosi nel rapporto con l'architettura che attraversa, accoglie i visitatori che entrano negli spazi della mostra del celebre artista Anish Kapoor, dal titolo 'Anish Kapoor.

La rassegna, allestita tra le sale del piano nobile e il cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi a Firenze sarà visibile fino al 4 febbraio 2024. Dopo l'enorme blocco di cera che attraversa due stanze del palazzo, Kapoor, considerato uno dei più influenti artisti del nostro tempo, propone una colonna in pigmento rosso che sembra oltrepassare i limiti del pavimento e del soffitto creando una sensazione di fisicità architettonica eterea, metafora del legame tra terra e cosmo. Il percorso prosegue attraversando un insieme di forme in pigmento giallo e rosso che emergono dal pavimento, fragili, quasi ultraterrene ma potentemente presenti, e arriva alla serie delle 'Non-Object Black', con cui Kapoor mette in discussione l'idea stessa di oggetto fisico e tangibile, presentando forme che si dissolvono al passaggio dello sguardo. L'esperienza del non-oggetto continua in 'Gathering Clouds', forme concave monocrome che assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa. "Questo palazzo - ha detto l'artista - presenta una successione classica di ambienti e la difficoltà nel creare questa mostra è stata proprio quella di assecondare questo flusso e questa successione, ma anche di interromperlo o sconvolgerlo. Tutta la tematica della mostra è proprio sull'oggetto vuoto ma essendo io pieno di contraddizioni, gli oggetti che vedete in mostra non sono vuoti, sono pieni di oscurità, di riflessi. Ho voluto creare una complicazione". Un'intera sala della mostra è dedicata a opere in cui l'artista si confronta con ciò che appare come un'intimità sventrata e devastata: la grande scultura in acciaio e resina 'A Blackish Fluid Excavation' evoca un incavo uterino contorto che attraversa lo spazio e i sensi dello spettatore mentre sulle pareti l'artista unisce la pittura e il silicone dando origine a forme fluide che ci appaiono come masse viscerali. La dicotomia tra soggetto e oggetto sono temi centrali di opere specchianti come 'Vertigo', 'Mirror', e 'Newborn', grandi sculture che riflettono e deformano lo spazio circostante e lo ingrandiscono, riducono e moltiplicano, creando una sensazione di irrealtà e destabilizzazione. Conclusione del percorso espositivo è la sala sulle grandi pietre di ardesia ricoperte da strati di pigmento blu intenso. Per il cortile rinascimentale di Palazzo Strozzi, infine, Kapoor ha pensato un'opera immersiva: un grande padiglione che si pone allo stesso tempo come punto di partenza e di approdo nel dialogo tra l'arte di Kapoor e il palazzo.

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Arriva il viaggio immersivo di Pasión Picasso. Mostra anche digitale a Napoli

Quasi 40 capolavori di Picasso da scoprire o riscoprire in maniera immersiva, da 'Guernica' a 'Paulo vestito da Arlecchino', da 'Donna sdraiata che legge' a 'Caffè da Royan', da 'Ragazza col mandolino' a 'La nuotatrice', insieme a circa 120 documenti sulle mostre dedicate al maestro spagnolo allestite nel 1953 alla Galleria d'Arte Moderna a Roma e Palazzo Reale a Milano, che furono osteggiate, per l'impegno civile e politico dell'artista, di cui ricorrono i 50 anni dalla scomparsa, e scatenarono un caso che coinvolse Democrazia Cristiana e Partito Comunista.

E' il percorso di Pasión Picasso la mostra ad ingresso gratuito (a parte la sezione di approfondimento realizzata in realtà virtuale), che guida tra videoproiezioni immersive, effetti sonori e Vr nell'universo dell'artista, allestita dal 14 ottobre fino al 14 gennaio nei quattro bracci appositamente oscurati del Chiostro del Platano dell'Archivio di Stato di Napoli. L'esposizione, sostenuta dalla Regione Campania, nell'ambito del POC 2014-2020, è realizzata in collaborazione con l'Ambasciata di Spagna a Roma, il Consolato Generale di Spagna a Napoli e il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía e rientra tra le manifestazioni ufficiali internazionali del grande progetto congiunto dei governi di Spagna e Francia "Picasso Celebration 1973-2023". Media partner ANSA e Efe.

"Pasión Picasso è un omaggio al grande pittore spagnolo e ci riporta indietro nel tempo, al 1953, quando l'Italia, uscita dalla guerra e diventata Repubblica, iniziò a guardare il mondo e l'arte con occhi diversi, attenti - spiega l'Ambasciatore di Spagna in Italia, Miguel Fernandez-Palacios nella conferenza stampa a Palazzo Borghese, sede nella capitale dell'Ambasciata di Spagna-. Attraverso corrispondenze, articoli di giornale, cartoline, fotografie e cataloghi, esploreremo le grandi retrospettive italiane dedicate a Picasso". Un nuovo capitolo della continua collaborazione dell'Ambasciata spagnola con le istituzioni culturali italiane: "Tra i prossimi appuntamenti quelli a Milano, per le mostre di El Greco e Goya - aggiunge l'ambasciatore -. Siamo molti contenti di questa attività perché la cultura unisce ancora di più i nostri Paesi": L'Archivio di Stato di Napoli - Ministero della Cultura, per la mostra Pasión Picasso, è partito dall'essere depositario dell'Archivio del Senatore Eugenio Reale (1905 - 1986), che 70 anni fa aveva deciso di portare in Italia le opere di Picasso in mostra. Si è ricostruita, attingendo ai suoi documenti, la querelle del 1953, che vide anche l'organizzazione in parallelo di una Mostra di Salvador Dalí.

"I soli documenti hanno difficoltà a essere graditi da un pubblico vasto, e non potevamo permetterci di fare una mostra con gli originali di Picasso portati in Italia per le esposizioni di 70 anni fa - spiega la direttrice dell'Archivio di Stato di Napoli, Candida Carrino - così abbiamo pensato di riproporre in maniera digitale i dipinti esposti a Milano e Roma. chiedendo le liberatorie ai musei che li posseggono per fare una mostra immersiva, una formula che va molto e coinvolge anche bambini (per cui ci saranno anche laboratori ad hoc) e ragazzi". Tra i capolavori picassiani, nei quali si 'entrerà' ci sono fra gli altri, anche La Guerra e la pace, Due nudi, Ragazza col mandolino, Il carnaio, Donna che legge, Busto di donna con cappello blu, Il pittore e il suo modello, I fumi di Vallauris, Massacro in Corea. "Anche nell'epoca di internet e dei social la cultura, resta un ponte, uno strumento di dialogo e Picasso è stato non solo un grandissimo artista spagnolo ma anche un grande simbolo europeo - dice Stefano Polli, vicedirettore dell'ANSA - Guernica è il manifesto dei principi e i valori dell'Europa".

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La mostra. La vita nei lager di Guareschi, il papà di don Camillo e Peppone

 L’internamento del sottotenente Giovannino Guareschi a Roma in una esposizione dal titolo “6865”. Per non dimenticare tutti gli italiani che dissero “no” al nazifascismo


Don Camillo, Peppone e il Candido sono nati nei lager dopo quel 1943 che vide oltre 650mila Imi, gli internati militari italiani, essere imprigionati per aver detto “no” al nazifascismo dopo l’8 settembre. Giovannino Guareschi è uno di questi testimoni. A lui, a Roma, è dedicata una mostra che racconta le drammatiche condizioni umane e psicologiche che dovettero subire lui e tutti coloro che scelsero di compiere una “resistenza senz’armi” ad oltranza.

“Tra i 650.000 soldati, sott’ufficiali e ufficiali, disarmati dalle truppe tedesche nei vari fronti, c’era anche il Sottotenente Giovannino Guareschi, catturato ad Alessandria il 9 settembre 1943, internato a Bremervoerde-Sandostel, Czestokowa, Beniaminovo, Wietzendorf” spiega il professore Enzo Orlanducci, presidente emerito dell’Anrp, l’Associazione nazionale reduci dalla prigionia, dall’internamento, dalla guerra di liberazione e loro familiari. Un ente che da decenni mantiene sveglia la memoria su quanti, come Guareschi, hanno scritto pagine drammatiche di vita nei lager.

Guareschi compì la sua “buona battaglia” per venti mesi. Il mancato riconoscimento “dello stato giuridico di prigionieri di guerra, con la sottrazione di quei diritti alla protezione, alla salute e alla dignità, consentì l’utilizzo dei militari italiani come forza lavoro in turni massacranti e nelle mansioni più pesanti, per l’economia bellica del Terzo Reich – sottolinea Orlanducci -. I continui appelli, i tormenti della fame, del freddo e delle violenze, ritmati dai tempi del lavoro coatto e di corvées, i frequenti trasferimenti, i continui bombardamenti aerei delle fabbriche e degli annessi campi di lavoro, determinarono circa 50mila deceduti”.

Nel mondo concentrazionario, nonostante tutto, fondamentali ai fini della sopravvivenza “furono la speranza sempre viva, la religiosità, la fede, la cultura, oltre che la vita collettiva – prosegue Orlanducci -. In quei particolari luoghi, al di là di egoismi e di incomprensioni che dipendevano molto dall’organizzazione e dalla disciplina applicata, sorsero amicizie che sono poi resistite nel tempo. Tra queste è giusto ricordare l’amicizia di Guareschi con il musicista e compositore Arturo Coppola, l’attore Gianrico Tedeschi, il disegnatore Giuseppe Novello, il poeta Roberto Rebora, il filosofo Enzo Paci e tanti altri”.

Emblematica la riflessione di Giovannino Guareschi, ripresa da Claudio Sommaruga nel volume Il dovere della Memoria: “Non abbiamo vissuto come bruti: costruimmo da noi, con niente, la ‘Città Democratica’. Una ‘Città’ costruita da tutti, da tutti difesa, perché l’internato operò ‘una scelta continua’ nel Lager, durata venti mesi, stressante ed unica nella storiografia delle prigionie di massa”. La riduzione a un numero, marcato su una piastrina da portare sempre con sé, era uno degli elementi particolari degli “abitanti” dei lager che conservarono la loro dignità, negando il loro sostegno politico, militare e civile al nazifascimo.

"Giovannino Guareschi è il leader morale degli internati, dei quali sostiene lo spirito grazie all'arma dell'umorismo che poi trasferirà sul Candido e nel Mondo piccolo: arma di una politica inflessibile verso l'avversario ma sempre rispettosa del valore umano. Per questo non apprezzerà l'Italia rapidamente convertita all'antifascismo del dopoguerra e animata da uno scontro fratricida che sembra proseguire la guerra civile, vorrebbe invece che gli italiani si sentissero sempre pienamente fratelli - spiega Marco Ferrazzoli, giornalista e curatore della mostra allestita in via Labicana, nella sede dell'Anrp -. Insieme a questo suo nazionalismo coltiva un senso religioso profondo, un cristianesimo di radice estremamente popolare che in prigionia si esprime tra gli altri nella “Favola di Natale”.

Il terzo elemento della sua umanità che si cementa nel lager è quello della famiglia: eppure, nonostante ciò, resiste alle lusinghe che lo tentano di tornare a casa mettendosi al servizio dei tedeschi come giornalista e sconta tutta la lunga e dura detenzione in Germania e Polonia - aggiunge Ferrazzoli -. Nonostante il contributo fornito alla causa cattolica e a quella democristiana nelle elezioni del 1948, quando è uno dei principali artefici della vittoria contro il Fronte Popolare, i rapporti con taluni ambienti clericali non saranno sempre del tutto pacifici, soprattutto in occasione della controversia che lo oppone a De Gasperi. Ma l'appoggio del popolo cattolico non viene mai meno, come pure quello dei pontefici che hanno a più riprese manifestato la stima per l'autore di Don Camillo. Ultimo Papa Francesco, che ha citato il prete guareschiano come modello di rapporto pastorale tra sacerdote e fedeli".

Una figura, quella di Giovannino prigioniero, poco conosciuta, nonostante il suo Diario clandestino 1943-1945 pubblicato nel 1949 e più volte dato alle stampe. Un volumetto dedicato “ai compagni che non tornarono”. Un’esperienza che lo segna profondamente e che emerge dai pannelli della mostra e dalle fotografie inserite nel catalogo, grazie anche alla collaborazione del figlio Alberto Guareschi che ha, come sottolineata Orlanducci “spalancato il forziere delle memorie di famiglia”.

Che cos'è l'Anrp

L’Anrp, che ospita la mostra svolge un’intensa attività di studio, documentazione e ricerca, convegnistica, editoriale di aggiornamento, promozione sociale, patronato ed assistenza a livello internazionale. Dispone una biblioteca specializzata, di un archivio fotografico e di una videoteca, di un sito web www.anrp.it, edita il mensile Liberi e il trimestrale Le porte della memoria, ha pubblicato un centinaio di titoli e ha reso disponibili le ricerche sugli Imi realizzate nell’ambito del programma “Europa per i cittadini”. Sta inoltre realizzando il Lebi, Lessico Biografico Imi. Nella sede nazionale di Roma, via Labicana 15/A ha creato e gestisce il museo interattivo multimediale “Vite di Imi”

avvenire.it

Nell'antica dimora di Galileo Galilei una mostra da Guttuso a De Chirico

Scienza, natura e arte si incontrano in occasione di Spatium Galilaeus, iniziativa promossa dalla Tenuta Galileo, tra Perugia e Spoleto, antica dimora che ospitò un gruppo di scienziati olandesi seguaci dell'eliocentrismo, fra cui il celebre Galileo Galilei.

Fino al 31 luglio sono previste visite guidate per ammirare gli affreschi del '500 rinvenuti durante il restauro della tenuta e l’esposizione di opere d’arte di grandi maestri come Renato Guttuso, Giorgio De Chirico, Fausto Pirandello, Cipriano Mannucci e Giacomo Balla. Previsto uno spazio bar per un aperitivo al tramonto, circondato dal panorama.

Per i più piccoli sono previsti laboratori creativi appositamente in cui poter esplorare il mondo della scienza, dell'arte e della natura attraverso attività coinvolgenti e divertenti, stimolando la loro curiosità e fantasia.

Dall’11 al 31 luglio, la Tenuta ospita anche la Festa dei Girasoli che consentirà di passeggiare lungo distese di fiori e cogliere direttamente dal terreno i girasoli.
ansa.it




Inaugurazione della Mostra dedicata a Paolo Rossi, "Paolo Rossi, un ragazzo d'oro", realizzata in collaborazione con la Regione Emilia-Romagna

LA MOSTRA ITINERANTE “PAOLO ROSSI UN RAGAZZO D’ORO” ARRIVA AL GRAND HOTEL DI RIMINI, IN COLLABORAZIONE CON LA REGIONE EMILIA ROMAGNA. 
 Presenti all’inaugurazione il Presidente Stefano Bonaccini, Arrigo Sacchi e Federica Cappelletti. Rimini 20 Giugno 2023 – Oggi Rimini riparte anche dallo Sport e dalla Cultura, la Regione Emilia Romagna e la Paolo Rossi Foundation hanno presentato la Mostra itinerante, “Paolo Rossi un Ragazzo D'Oro”, una delle tappe del tour italiano 2023, patrocinata da FIFA, CONI e FIGC, che racconta l’indimenticabile storia di Paolo Rossi. Dopo il grandissimo successo di pubblico e mediatico dei primi eventi espositivi di Roma, Firenze, Venezia, Trento e Zurigo; la Mostra arriva a Rimini in una terra amata in maniera particolare da Paolo, grazie alla collaborazione con la Regione Emilia-Romagna.
 
Il Presidente della Regione Stefano Bonaccini commenta così questa iniziativa dedicata al pubblico: “Come presidente della Regione Emilia-Romagna, è un onore poter ospitare a Rimini questa mostra. Un omaggio piccolo, ma sentito, dedicato a Paolo e alla sua famiglia. Un modo per ricordarlo e spiegare a chi è venuto dopo la sua grandezza. I suoi valori umani e la sua parabola sportiva, che ha visto l'uomo e il campione toccare il punto più basso per risalire verso la vetta della vittoria ai campionati del mondo, ma restando sempre fedeli a sé stessi. Paolo Rossi incarna quel messaggio positivo che la Regione Emilia-Romagna ha individuato nella pratica sportiva. Per noi lo sport è coesione sociale, parte integrante di ogni comunità, diffusione di buoni e sani stili di vita. In una parola: crescita individuale e collettiva. Per questo, da un lato stiamo continuando a promuovere un calendario di eventi di livelli nazionale e internazionale che non ha paragoni nel resto del Paese. Di tutte le discipline, perché per noi non esistono sport cosiddetti minori, perché conta la passione che ci si mette e non l'esposizione mediatica che ricevono. Dall'altra, abbiamo voluto essere vicini in modo concreto alle realtà sportive del territorio, così provate negli ultimi anni prima dalla pandemia e poi dalla crisi economica, che spesso portate avanti su base volontaria, svolgono una funzione fondamentale per ragazze e ragazzi, famiglie e comunità. Questa mostra, questa testimonianza di valori, è poi un altro segnale che arriva da una terra che vuole ripartire dopo la drammatica alluvione e farlo insieme, senza lasciare indietro nessuno”. Il legame con questa terra è sottolineato anche dalla presenza oggi della moglie Federica Cappelletti in qualità di Presidente della Paolo Rossi Foundation che ha voluto fortemente questa iniziativa, precisando che la mostra, allestita al Grand Hotel presso la sala Tonino Guerra, sarà gratuitamente aperta al pubblico dal 20 al 30 di Giugno 2023 dalle 10:00 alle 22:00.
 Presente all’inaugurazione anche Arrigo Sacchi, che conosceva molto bene Paolo Rossi, e ha testimoniato la grande portata di Pablito sul calcio e sul legame di Paolo con il pubblico e i tifosi italiani. Il Direttore della Mostra Marco Schembri ha raccontato la mostra, evidenziando come gli spazi espositivi, che ripercorrono cronologicamente la vita e la carriera di Paolo, sono stati realizzati grazie ad importanti investimenti. Si può parlare di uno dei progetti più importanti al mondo per innovazione e costruzione espositiva, sulla vita di un singolo personaggio sportivo. La mostra Paolo Rossi un Ragazzo D’Oro in Emila Romagna ha inoltre concluso, dopo la tappa di Rimini sarà in autunno anche a Bologna e Modena. In particolare l’allestimento prevede di creare attraverso telai, pannellature, stampe, totem, stendardi, box, monitor e bacheche un percorso dagli esordi al lascito di Paolo con oltre 200 unici reperti, inclusi i trofei più importanti: 
 • Pallone d’Oro 82 France Football 
 • Scarpa d’oro capo cannoniere Spagna 82 
• Pallone d’oro miglior giocatore Spagna 82
• Gli scarpini indossati da Paolo in Italia vs brasile 3’2 
• Una riproduzione della Coppa del Mondo 
 La mostra inoltre, ospita al suo interno un progetto di Realtà Virtuale che darà ai visitatori la possibilità di rivivere attraverso dei visori Oculos i tre goal al Brasile seduti nelle tribune del vecchio stadio Sarrià di Barcellona. 
 La Mostra, supportata anche Master Group Sport, si chiuderà venerdì 30 giugno in occasione dell’evento del Gran Galà di Apertura ufficiale del Calciomercato, organizzato da Adise e Master Group Sport. che vedrà l’apertura dell’anno 2023-24 con il Talk Show “Colpi di Maestro” dedicato al Mondo del calciomercato, ricordando la storia di un fenomeno di sport, costume ed economia e raccontandone l’attualità e il continuo cambiamento.

Fonte: Comunicato Stampa Master Group Sport

A Pechino gli Autoritratti degli Uffizi. Da Raffaello a Tiziano, 50 opere spiegate dal direttore Schmidt


L'autoritratto di Raffaello, celebrato "l'artista migliore del Rinascimento italiano", apre una rassegna unica di grandi capolavori delle Gallerie degli Uffizi, allestita al Museo Nazionale di Pechino su Piazza Tienanmen.

Se c'è anche il direttore dell'ente fiorentino Eike Schmidt a raccontarla, opera dopo opera, allora è facile scoprire il suo straordinario percorso che arriva fino ai giorni nostri, tra la pennellata dai tratti marcati di Renato Guttuso, lo stile a pois della nipponica Yayoi Kusama e la 'gunpower art' (la polvere da sparo) cinese di Cai Guoqiang.

Con le cinquanta opere della mostra Autoritratti, "l'idea è di far vedere non solo lo sviluppo dell'autoritratto dal Rinascimento ad oggi, ma anche di raccontare come sia cambiata la sua tipologia nel corso del tempo", spiega Schmidt, che ha scelto personalmente i capolavori della rassegna in un catalogo degli Uffizi che conta oltre duemila pezzi, tra pittura e scultura, e che superano quota 3.000 se si includono anche i disegni su carta. Interessanti gli spunti offerti dal direttore degli Uffizi: ad esempio, Tiziano, che indossa la catena con lo Speron d'oro ricevuta dall'imperatore Carlo V, "era strapagato ai suoi tempi"; Giovanni Mannozzi, il cui autoritratto è su tegola, rispecchia una "tradizione tipicamente fiorentina"; il pittore svedese Anders Leonard Zorn, vissuto nella secondo metà del 1800 e gli inizi del 1900, era all'epoca tra gli scandinavi "più famoso di Edvard Munch", mentre il connazionale Carl Olof Larsson si lega nel suo autoritratto all'ironia del pupazzo tenuto in mano.

E poi il futurista Giacomo Balla, alle prese con una tazzina di caffè (non un autoritratto ma un 'autocaffè'), fino a Velazquez, Bernini, Rembrandt, Rubens e Chagall. Non mancano inoltre le pittrici, tra le quali la veneziana Marietta Robusti (figlia del Tintoretto e nota come 'Tintoretta') e l'americana Cecilia Beaux. L'impegno degli Uffizi in Cina è doppio, visto che a Shanghai, al Bund Art One Museum, è in corso un'altra mostra su 'Botticelli e il Rinascimento', con 42 opere del genio fiorentino, nell'ambito dell'anno della Cultura Italia-Cina che ha anche nel 2023 un ricco programma di ben 19 iniziative. Questo spiega la presenza di Schmidt a Pechino, ai rapporti intensi sviluppati con il Dragone, includendo pure i progetti sviluppati a Hong Kong.

"L'importanza dell'iniziativa sta nel fatto che l'Italia è partner della Cina dopo la gestione della pandemia del Covid durata due anni. Tota Italia (la mostra con visitatori record del 2022 grazie ai 500 pezzi scelti per descrivere il processo di 'romanizzazione' della penisola italiana, ndr), questo è un ulteriore esempio delle nostre collaborazioni, dove la cultura è un forte canale di collegamento", commenta l'ambasciatore Massimo Ambrosetti, rimarcardo anche "la capacità delle nostre istituzioni museali e non solo di gestire il ricco programma del 2023". Tra Pechino e Shanghai c'è il sostegno di ambasciata e consolato generale, nonché degli Istituti italiani di cultura delle due città cinesi.

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Un Caravaggio da Roma in mostra a Minneapolis

 Un Caravaggio da Palazzo Barberini è volato a Minneapolis e in cambio, a Roma, è arrivato La Morte di Germanico di Nicholas Poussin che a lungo è stato parte delle raccolte della famiglia Barberini.

La mostra al Minneapolis Institute of Art, aperta da questo fine settimana, ha al suo centro l'iconico dipinto del 1599 ispirato alla storia biblica di Giuditta e Oloferne.
    "È un soggetto comune nell'arte dell'epoca, ma in questo quadro l'eroina della Bibbia è fermata nell'atto di decapitare il generale assiro", spiega all'ANSA Rachel McGarry, che ha curato la mostra in cui il quadro è accompagnato da altre 14 opere su un arco di 500 anni che esplorano le diverse interpretazioni date alla figura di Giuditta da artisti come Barthel Beham, Ludovico Carracci, Ignazio Collino e Lovis Corinth.

È una rara occasione di vedere un quadro di Caravaggio negli Stati Uniti: ce ne sono solo dieci, di questi nove in collezioni pubbliche.
    Il prestito del Giuditta e Oloferne riflette la forte relazione istituzionale del Minneapolis Museum of Art con musei e gallerie in Italia che, tra le altre cose, l'anno scorso diede vita a una mostra di opere di Botticelli dagli Uffizi. In cambio del Caravaggio, il museo ha mandato a Roma il Poussin, in occasione della mostra in corso fino a fine luglio su Maffeo Barberini, che 400 anni fa divenne papa col nome di Urbano Ottavo. Il quadro, originariamente commissionato dal cardinale Francesco Barberini, nipote del pontefice-mecenate, era rimasto con discendenti della famiglia fino al 1958 quando il museo lo aveva acquistato.
    "La collaborazione con palazzo Barberini porta in luce eccezionali opere d'arte, ma anche la legacy di una famiglia di straordinari mecenati", ha detto la direttrice del Mia Katie Luber. Ci sono voluti due anni di contatti per concretizzare i prestiti: il Poussin - ricorda la McGarry - aveva riattraversato l'Atlantico finora soltanto una volta, nel 1994, per la grande mostra organizzata al Grand Palais di Parigi in occasione dei 400 anni della nascita dell'artista. (ANSA).

Al Palazzo Reale di Milano 'Helmut Newton. Legacy'

 - Posticipata a causa della pandemia, apre il 24 marzo a Milano, a Palazzo Reale, "Helmut Newton. Legacy", un'ampia retrospettiva ideata per il centesimo anniversario della nascita del fotografo (Berlino, 1920 - Los Angeles, 2004).

Aperta fino al 25 giugno, la mostra ripercorre attraverso 250 fotografie, riviste, documenti e video l'intera carriera di uno dei maestri della fotografia. Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte, in collaborazione con la Helmut Newton Foundation di Berlino, l'esposizione fa parte di Milano Art Week (11-16 aprile 2023), la manifestazione diffusa coordinata dall'assessorato alla Cultura del Comune di Milano, in collaborazione con miart. Curata da Matthias Harder, direttore della Helmut Newton Foundation, e da Denis Curti, direttore artistico delle Stanze della Fotografia a Venezia, l'esposizione presenta un corpus di scatti - visti per la prima volta in Italia - che svela aspetti meno noti dell'opera di Newton. "Questa esposizione, che celebra il centesimo anniversario della nascita di Helmut Newton, offre l'occasione di ripercorrere l'intera carriera di uno dei fotografi più influenti del XX secolo - ha detto l'assessore alla Cultura Tommaso Sacchi -. Una mostra che Palazzo Reale dedica a un grande maestro della fotografia, proseguendo nell'esplorazione di questo linguaggio artistico e proponendo ai visitatori, anche durante la Milano Art Week, non solo una retrospettiva ampia e affascinante del lavoro di un grande artista, ma anche il ritratto di un'epoca". 

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Le 'mappe' di Omar Hassan, omaggio all'accoglienza nel mondo

- Per realizzare la mappa di Palermo, uno dei lavori esposti per la mostra 'Punctum' di Palazzo Reale, l'artista italo-egiziano Omar Hassan ha utilizzato 8.928 tappini di bombolette spray dipinti a uno a uno.

L'opera non è solo il riferimento geografico di uno dei suoi approdi artistici, ma è anche un omaggio al valore del singolo come parte di un insieme sereno e armonico, ognuno di uguale importanza, ciascuno nella sua essenzialità. "Nelle grandi città - ha detto Omar Hassan alla stampa durante la presentazione della mostra organizzata dalla Fondazione Federico II - c'è una netta distinzione tra centro e periferie.

A Palermo, il centro e alcuni quartieri non facili sono quasi confinanti. Credo sia un primo sintomo di integrazione. Palermo mi da' un'energia pazzesca, anche perché io amo il mare. Subendo il trauma del cemento e dell'asfalto delle periferie milanesi, amo, a maggior ragione, il mare. Qui si percepisce una dimensione di attraversamento di tante culture. Si percepisce dall'architettura, si percepisce dall'accoglienza della gente.
    Adesso in Italia viviamo un po' la realtà della banlieue parigina, che a Parigi trovi da 20 anni ed adesso inizia ad esserci anche da noi. Spero di scoprire ancora meglio Palermo, non vedo l'ora di viverci un po', di conoscere queste realtà così vicine e interessanti.". In ogni sua tappa in giro per il mondo, l'artista realizza il suo singolare omaggio alla città che lo accoglie, rappresentandone i quartieri: lo ha fatto a Miami, New York, Parigi, Londra, Tokyo e Milano.
    Significativa la grande opera dal titolo Lights, che domina in fondo allo spazio espositivo della Sala Duca di Montalto, realizzata dall'artista proprio in occasione della mostra a Palermo per porsi in dialogo con la grande spiritualità della Cappella Palatina attraverso la rinascita e la rigenerazione.
    Hassan, nato e cresciuto nella periferia di Milano, racconta come è riuscito ad alzarsi da una di quelle panchine di periferia dove altri potenziali talenti restavano inespressi, generando solo "sogni seduti". Ma "a casa mia - ha rivelato - non portare risultati equivaleva ad essere fallito. Essere considerato fallito dalla propria famiglia deve essere tremendo. E' pure vero che oltre alla mia motivazione, molte cose hanno contribuito a farmi 'alzare dalla panchina' e mi hanno appassionato: il pugilato, l'arte, l'accademia. Tutte parti di un cammino difficile, che hanno contribuito a non lasciare i miei sogni in una panchina. Comunque non ho mai dimenticato le mie radici e la forza concreta della vita che la periferia mi ha trasmesso. Quando cadi, nella boxe come nella vita, devi subito rialzarti". A Palermo, l'artista è arrivato con i suoi genitori. Attimi di commozione quando Omar si è inginocchiato tenendo per mano da una parte suo padre (egiziano musulmano) e dall'altra sua madre (italiana cristiana-cattolica) davanti alla reinterpretazione della Nike di Samotracia in dolce attesa, chiama 'Pax'. (ANSA).

La mostra a Roma. Nel disegno di Van Gogh il grembo del colore

Sotto l’esplosione di luce degli ultimi anni si nasconde la terra dei contadini della prima opera grafica. Due momenti di una stessa ricerca interiore
Vincent Van Gogh, “Autoritratto”, 1887 (particolare)

Vincent Van Gogh, “Autoritratto”, 1887 (particolare) - © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Avvenire 

 A un certo punto mi ero stancato di Van Gogh, del suo mito di folle- veggente e del mercimonio che si era sviluppato fra anni 80 e 90 attorno alla sua opera, con mostre che nascevano come funghi per catturare decine, centinaia di migliaia di spettatori disposti a fare file alle biglietterie per ore e ore. Van Gogh insidiava questo primato a un altro gigante, anche lui se non folle certo déraciné, Caravaggio. Il mito di quest’ultimo, il “pittore maledetto” come piace tuttora ai sostenitori della vulgata romanzesca, regge bene il passare del tempo, ma in occasione dell’ultima mostra tenutasi a Palazzo Reale pochi anni fa, avevo invocato una sorta di moratoria. Speranza vana, ovviamente, anche se da qualche tempo il passo dell’industria culturale caravaggesca sembra aver un po’ rallentato: se si ripetono all’infinito le cose risapute su Caravaggio, anche i maratoneti del grand tour finiscono per stancarsi. E non sarà – o forse sarà – la scoperta di un Ecce Homo di notevole fattura, ma pieno di insidie e dubbi per i conoscitori, a suscitare una nuova interpretazione dell’opera caravaggesca, se non altro perché, quand’anche fosse a lui attribuibile, non sposterebbe di un ette la conoscenza di uno stile e di un modo di dipingere già ampiamente studiato da ogni lato possibile. La mostra di Van Gogh in corso al Palazzo Bonaparte di Roma (Capolavori dal Kröller-Müller Museum, fino al 26 marzo) non esce dallo schema fin qui conosciuto e messo a punto negli ultimi trent’anni dai re Mida del mito vangoghiano. La curatela è di Maria Teresa Benedetti e di Francesca Villanti, il catalogo è pubblicato da Skira, il nucleo delle opere è preso interamente dalla collezione del museo olandese Kröller-Müller. Una classica mostra “a pacchetto”, una delle tante proposte in Italia con una logica che ho spesso criticato, fino a indicare, per contrasto, la mostra di Max Ernst attualmente in corso a Palazzo Reale (una delle sedi che ha più incentivato le inutili iniziative “a pacchetto”), perché è un ottimo esempio di come si dovrebbero fare le mostre. La rassegna su Van Gogh è costruita secondo i canoni oggi in voga delle mostre corredate di stanze immersive, in questo caso un buco nero dove specchi ed elaborazioni digitali sui vortici celesti del pittore creano l’impressione di trovarsi all’origine dei mondi, che tanti potrebbero essere quante le galassie scrutate dallo stesso pittore nelle sue visionarie immersioni sotto la volta stellata. Lo spettatore non farà mai quell’esperienza perché lo sfolgorio di luci e colori fa sembrare la stanza una specie di discoteca dove si balla al ritmo delle immagini. Eppure, si può scoprire qualcosa di buono anche laddove le premesse promettono poco. All’entrata, una stanza buia proietta immagini e notizie sul pittore e fa da drenaggio al pubblico che si sdoppia, chi a seguire la proiezione chi scivolando nelle prime sale. E qui, per quanto possa sembrare scontato in ragione della cronologia e della propedeutica espositiva, ecco che la serie dei disegni mi raggiunge come qualcosa di nuovo e mi spinge a pensare a quanto fosse bravo già attorno al 1880 Vincent quando inseguiva la sua idea espressiva: il bellissimo Seminatore proietta un’ombra sommaria sul campo arato che ha il gelido biancore di una superficie diafana sulla quale sono in fuga le linee dei solchi che accoglieranno il seme, ha l’allucinata espressione di chi, da rude contadino, conosce la fatica e il sudore anche d’inverno ma non perde mai l’attaccamento filiale al suolo che lo sfamerà: sullo sfondo un uccello in volo, un albero e una casa avvolti dalla foschia, e tutto si gioca più su quel bianco diffuso che sulla pesantezza del segno. Ugualmente, il contrasto fra la penombra della stanza dove una donna pela le patate e la luce del paesaggio invernale che entra da una finestra, come in un tableau-vivant ci fa vedere alcuni alberi che sembrano animare i loro rami senza foglie come in un racconto fantastico tipico delle saghe nordiche. Una natura morta con pentole, una bottiglia, una pipa e un cappello di paglia: è una delle sue prime prove pittoriche sul genere: Van Gogh sperimenta il colore stimolato da un cugino della madre, così come in una lettera spiega la scoperta dei valori del disegno eseguito dal vero. Ancora disegno nella Veduta dell’Aia, col tratteggio che rende alle case sullo sfondo un effetto di chiaroscuro quasi pittorico. La ricerca sulla ruvida bellezza della vita dei contadini torna ancora nel gruppo di donne che camminano sulla neve portando sulla schiena grandi sacchi di carbone, e in un ritratto di vecchio, parzialmente rovinato, che lo mostra sofferente mentre serra il suo volto contro i pugni, per esprimere quanto dolore prova; il colore emerge anche nella solitaria Capanna di torba dal contrasto fra l’inchiostro e la penna nera con l’acquerello variamente diluito che rende tutto in un bagno di luce al crepuscolo. Il segno a tratti si muove con sintetica sprezzatura, ma il tratteggio parla chiaramente dell’accanita ricerca tecnica di Van Gogh che in ogni disegno sembra rimettersi in gioco per acquisire nuove abilità. Un tema che ricorre in queste terre nordiche è quello dei tessitori. In un dipinto del 1884 Van Gogh rende la scena della tessitura come perfetta simbiosi di uomo e macchina, il lavoro come sapienza tecnica e austerità protestante, unificati nel colore marrone che emana luce con una studiata movenza dei toni dove legno del telaio, pavimento e pareti formano il grembo moderno che accoglie l’operaio mentre svolge la sua mansione. In primo piano il fuso con il filo bianco, segno luminoso che si distacca dal resto della tavolozza forse per testimoniare nel suo realismo il lato primigenio di quella materia che grazie alla tessitura entrerà a far parte del mondo quotidiano. Con un’accentuazione più dura, che spesso ritorna nel disegno, anche l’Uomo che avvolge il filato esprime il legame legittimante dell’uomo col suo lavoro in un’attentissima costruzione dello spazio e del tratteggio per differenziarne ombre e luci. Così, le contadine che piegate in avanti e puntellate nei tipici zoccoli che affondano nel terreno raccolgono il frumento, l’immancabile cuffia sul capo, ci ricordano che quella asprezza di vita e la fatica che comporta non sono diverse da quelle cui vanno soggette le bestie: nessuno sconto per le contadine, che anzi sono quasi equiparate ad animali da soma (mi fanno pensare ai disegni che Chagall eseguì giovanissimo rappresentando i contadini russi e il mondo animale con un’unica cifra espressiva). La loro sottomissione al lavoro è la rappresentazione più vera che potesse darci un occhio clinico ma anche umanissimo come quello di Van Gogh. Il tema delle donne è centrale nella sua opera del primo periodo e il colore fangoso e denso che lo contrassegna è l’elemento costruttivo di alcuni ritratti femminili (che ritroveremo nei Mangiatori di patate, qui rappresentati da una incisione) dove carne e terra, sangue e humus si compenetrano nella concezione della vita esposta alle forze naturali. Restano circa quattro anni a Van Gogh prima di lasciare questo mondo. Sono quelli, in particolare gli ultimi due, che lo hanno reso celebre per quel colore che sembra spremuto direttamente dal tubetto (come dicevano i critici degli impressionisti). Troppo si è detto e scritto perché si debba ricordarne l’ampiezza spirituale. Mi preme invece constatare che molto di quanto sappiamo di Van Gogh è fondato sulla convinzione che senza quegli ultimi anni la sua fama oggi sarebbe quella di un minore capace di eseguire un disegno altamente formalizzato ed espressivo, ma in definitiva qualcosa che apparterrebbe soltanto all’Ottocento e poco si avvicinerebbe al nostro sentire. Ecco, il dubbio è in questa domanda: sarebbe stato grande lo stesso? Per l’emozione che comunicano i suoi disegni ne sono convinto, ma so bene che nella cultura della “novità innanzitutto” saper esprimere con intensità il proprio genio non basta. Ogni anacronismo che resta fermo al talento che ci è stato consegnato risulta perdente di fronte al tribunali della storia. Ma lo stesso Van Gogh, per quella luce e lo sguardo profondo e interrogativo che ci lancia dal suo Autoritratto pare che dica: che cosa vedi in questo quadro, me o la mia pittura? So bene che la forza del nuovo ha il diritto della nascita dalla sua parte, ma per continuare a sentire l’uomo, prima che l’artista, nell’opera di Van Gogh tendo a una lettura umana più che umanista (direbbe Longhi) che trasforma anche il modo di guardare un’opera e il suo genio. I due periodi fondamentali della ricerca poco più che decennale di Van Gogh ci dicono che sotto nel colore vivissimo e scultoreo quasi, si celano ancora le terre dei contadini piegati sui campi a far fatica per procurarsi il pane. Vale a dire, due momenti di una stessa ricerca interiore, dove il disegno è come la notte per il giorno, come dire?, il grembo del colore.

Arte: a Domodossola mostra dell'illustratrice Seitzinger

 

(ANSA) - VERBANIA, 12 NOV - Inaugura OGGI, sabato 12 novembre, la mostra dell'illustratrice Elisa Seitzinger allestita negli spazi del collegio Mellerio Rosmini di Domodossola (Verbano-Cusio-Ossola) intitolata 'Seitzinger alchemica'.

    Per l'artista originaria del vicino comune di Ornavasso, già finalista al World Illustration Awards del 2021 e selezionata alla mostra della Society of Illustrators 2021 all'Illustration Museum di New York, oltre a essere stata inclusa tra i dieci illustratori più influenti d'Italia all'Illustri Festival 2019, si tratta della prima personale allestita nel nord Italia.

I suoi lavori, pubblicati in Italia e all'estero, attingono dall'arte medievale, guardano all'iconografia esoterica e a quella classica e si ispirano agli ex-voto e alla pittura primitiva.
    La mostra, che fa parte del progetto Interreg Italia-Svizzera "Di-Se - DiSegnare il territorio", è ad accesso libero e rimarrà aperta fino al 5 febbraio 2023. (ANSA).

Slitta al 30 ottobre mostra "Raffaello giovane" a C.Castello. Il 18 settembre anteprima dell'evento

  

 E' slittato al 30 ottobre 2021 l'inizio della mostra "Raffaello giovane e il suo sguardo", a cura di Marika Mercalli e Laura Teza, inizialmente in programma dal 18 settembre nella Pinacoteca di Città di Castello.
    In una nota, le curatrici e il Comune tifernate spiegano che la data è stata "aggiornata a causa dei maggiori adempimenti previsti per la logistica degli allestimenti". "Non abbiamo voluto rinunciare alla mostra - prosegue la nota - nonostante le molte difficoltà che implica organizzarla durante una pandemia.
    Questo però ha determinato uno spostamento di data per poter concludere l'intera rete delle procedure connesse ai contatti con i musei e al trasporto delle opere, alcune fuori Italia ma anche fuori Ue ormai e l'adeguamento del museo che ospiterà la mostra con un nuovo allestimento sia permanente che temporaneo.
    Abbiamo mantenuto la data del 18 settembre simbolicamente: era la data che avevamo scelto e che abbiamo cercato di mantenere fino alla fine. Servirà come anteprima dell'evento e del restauro dello Stendardo di Raffaello, una delle grandi attività connesse alla mostra".
    Al Teatro degli Illuminati - in sicurezza - le curatrici presenteranno in anteprima i dettagli della mostra e il restauro dello Stendardo, l'immagine guida della stessa esposizione. La corale Marietta Alboni presenterà in anteprima il video "Il nostro Raffaello". Evento e video saranno trasmessi in diretta Facebook. (ANSA).

Caldo e sole in bianco e nero, la lavorazione del sale in Sicilia




SIRACUSA - Tra sudore e fatica di corpi abbagliati dal sole e nell'oscurità del sottosuolo. In un rigoroso bianco e nero le immagini raccontano un mondo del lavoro come quello dell'estrazione e della lavorazione del sale in Sicilia. E' il filo conduttore delle foto che Filippo Sproviero, originario di Caltanissetta, espone dal 7 dicembre al 6 gennaio nella Fototeca a Siracusa. "Una storia di sudore della fronte e fatica del corpo ma che ha lo stesso sapore dell'identità - afferma Giuseppe Cicozzetti, nel testo di presentazione - Le fotografie non vogliono però disperdersi in un romanticismo pre-industriale. Lo scopo del progetto non è questo, così come non c'è nessuna elegia d'un passato che non tornerà".
    "E' stato un reportage che ho condotto con passione - afferma Sproviero - per accostarmi ad un ciclo di lavoro che trasmette un senso di fatica, sempre più in contrasto con un sistema industriale tecnologizzato dove i robot stanno sostituendo gli uomini. La scelta di scattare in bianco e nero e in analogico mi ha permesso di accostarmi senza la distrazione del colore a questi scorci e personaggi". Ed ecco così sfilare una carrellata di immagini senza tempo che cristallizzano un epoca "di cui oggi non resta che una pallida ma tenace economia che ruota intorno a una lavorazione che sembra più appartenere a un genere di archeologia delle attività umane ma che invece vive nei residui di una resistenza che intende salvaguardare la sua stessa storia, una storia di sudore della fronte e fatica del corpo ma che ha lo stesso sapore dell'identità", osserva Cicozzetti.
    "Nel suo lavoro si respira un'aria che intende ristabilire gli equilibri minacciati dalla veloce globalizzazione delle tecniche, - prosegue - come un gesto risarcitorio verso un mondo che ha perduto la sua voce e che qui, nelle sue immagini, attesta una presenza così ostinata e durevole a dispetto dei cambiamenti. E' una voce, una testimonianza, netta e precisa, un racconto dell'oggi". Le foto sono state scattate nelle saline di Trapani, nella miniera di sale dell'Italkali a Realmonte (Ag) e nella tonnara abbandonata di San Vito Lo Capo nel Trapanese. "La Sicilia secondo me - aggiunge Sproviero che in passato ha esposto le sue opere in diverse mostre - in rapporto simbiotico con il mare e il sottosuolo entrambi soprattutto fonti di reddito". Lo sfruttamento della zona costiera tra Trapani e Marsala risale al tempo dei Fenici che, accortisi delle condizioni estremamente favorevoli, vi impiantarono delle vasche per ricavare il sale, poi esportato in tutto il bacino del Mediterraneo. Ma è la miniera di salgemma nell'agrigentino, giacimento formatasi circa 6 milioni di anni fa, una tra le più importanti fonti d'estrazione di sale presenti nel'Isola.
    (ANSA).
   

Foto e sculture raccontano la montagna


(ANSA) - AOSTA, 24 NOV - Sarà inaugurata venerdì 30 novembre, nella Chiesa di San Lorenzo di Aosta, la mostra 'La montagna fotografata, la montagna scolpita' con le opere di Stefano Venturini e Ladislao Mastella. L'esposizione si compone di una selezione di fotografie di Stefano Venturini, di piccole, medie e grandi dimensioni, a colori e in bianco e nero, e di venti sculture in legno di Ladislao Mastella. 

In dettaglio, Venturini propone "immagini di grande impatto visivo, che illustrano la dimensione della montagna nelle varie stagioni dell'anno e sono proposte in mostra su diversi supporti, dalla tela all'alluminio spazzolato, e con diverse tecniche di stampa". Le sculture di Mastella - realizzate in diverse essenze lignee, quali betulla, cipresso, cirmolo, noce, acero, bosso, melo, frassino, larice e abete - "ripercorrono i temi della tradizione popolare valdostana, tra cui si segnalano alcuni divertenti galli policromi di grandi dimensioni e un Presepe di notevole forza plastica".