"Abbiamo lavorato per mesi, quasi 24 ore su 24 e raccolto ad oggi 6400 beni tra beni archeologici, storico-artistici e porzioni architettoniche. Ora stiamo completando l'inventario di questo patrimomio mai catalogato. Nessuno pensava a un risultato numerico e qualitativo così alto". Tiziana Biganti, funzionaria del Mibac, riassume così il lavoro del Centro di Raccolta di Santo Chiodo, alle porte di Spoleto, dove ci si prende cura delle bellezze andate in frantumi in Umbria nel terremoto del 2016. Qui, nei 4000 metri quadrati di questo ospedale dell' arte, ogni "pezzo" salvato dalle chiese distrutte o danneggiate ha una cartella clinica con nome, luogo e data del recupero. I "reparti" sono colmi di campane, arredi sacri, candelabri, tele, statue, crocifissi, porzioni di affreschi, fino ai frammenti più piccoli. "E' un luogo vivo - dice Biganti - dove tutti lavoriamo per far tornare nei luoghi di provenienza questo patrimonio fondamentale per la storia identitaria delle comunità". Il deposito Santo Chiodo fu pensato dopo il terremoto del 1997. Reso disponibile nel 2008, è stato al centro di polemiche perché sembrava una cattedrale nel deserto. Tutto cambiò alla fine di agosto del 2016, dopo la prima scossa. "Ci siamo subito mossi per recuperare le opere nelle chiese a rischio di crollo - spiega la responsabile -. Erano per fortuna solo tre che vennero liberate prima che la scossa del 30 ottobre facesse crollare tutto. Abbiamo potuto agire subito perché esisteva non solo l' Unità di Crisi ma anche il luogo dove portarle, mentre nelle altre regioni si sono individuate solo in un secondo momento le strutture di ricovero e questo ha impedito che si togliessero subito le opere dalle chiese". Il deposito è così è diventato un modello nei casi di catastrofi, un esempio di prevenzione che ha funzionato alla perfezione. "E' stato determinante disporre di questo luogo con tutte le attrezzature per la cura e la messa in sicurezza delle opere per bloccare un degrado che, in alcuni casi, potrebbe essere progressivo. Il restauro vero e proprio viene deciso in seguito dagli istituti del Ministero e della Soprintendenza. Qui non è entrata alcuna ditta esterna, tutto è stato realizzato da strutture statali". La fase di emergenza durerà fino a tutto il 2018 poi la gestione ordinaria del Centro di Raccolta passerà alla Soprintendenza per i Beni Archeologici Belle Arti e Paesaggio. "Questa esperienza terribile è stata una occasione formativa che va divulgata - osserva Biganti -. Il giorno dopo la scossa le squadre di verifica erano già sul posto. Dopo dieci giorni abbiamo potuto prelevare le opere e metterle al sicuro nel deposito". Nelle grandi sale del Centro, giacciono allineate decine di statue di Santi, Crocifissi, Madonne. "E' un patrimonio da considerare tutto sacro - precisa - che ha una valenza religiosa altissima per una popolazione che ha perso tutto. Questo è un luogo aperto a tutte le comunità in ogni momento. Alcuni chiedono di vedere un' opera specifica per pregare. E' aumentata la devozione e l' attaccamento morboso".
Nel marzo 2017, quando fu decisa una apertura straordinaria, davanti al deposito si formò una lunga fila per dodici ore.
Tra i reperti, ecco quelli della chiesa di S. Salvatore in Campi a Norcia, collassata interamente, che gli ingegneri, nonostante la "mission impossible", vorrebbero ricostruire. Più in là il Crocifisso del 1500 opera di Jacopo Siculo, che si è salvato perché è rimasto attaccato alla parete. Perduto per sempre, invece, l' affresco trecentesco nella chiesa di San Giovanni Battista di Norcia. Il Cristo sospeso nella chiesa di Santa Maria Argentea è caduto nel crollo del tetto ma è rimasto in superficie. Si è frantumato ma la materia è sana e sarà restaurato grazie alla generosità di un gruppo di mecenati americani. Lungo il tragitto, Tiziana Biganti si ferma davanti a una statua che ha una importanza particolare. "E' la Madonna di Castelluccio, recuperata nella chiesa di Santa Maria Assunta. E' stata la prima opera che abbiamo portato qui". (ANSA).