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Il Cai Verbano cerca nuovi gestori per il rifugio Pian Cavallone L’apertura è da maggio a ottobre

Per gli amanti della montagna è un riferimento, per i verbanesi un simbolo: il rifugio Cai del Pian Cavallone cerca gestore dopo una lunga collaborazione con la cooperativa La Coccinella. Ristrutturato di recente, è stato «rimesso a nuovo con opere di pregio: porte interne, pavimentazione, letti e materassi» dice Franco Rossi, presidente del Cai Verbano. Sul sito www.caiverbano.it c’è il bando per la gestione. 

Il rifugio è nel Parco nazionale della Valgrande e si raggiunge a piedi da cappella Fina (Miazzina), cappella Porta (Caprezzo) o dall’alpe Piazza (Intragna). E’ strutturato su tre piani: il pian terreno è composto da quattro locali tra cui cucina e sala ristorante, il primo ospita tre camere per un totale di 12 posti letto e un bagno con doccia e il secondo dispone di quattro camere per altri 12 posti con letti a castello. Nel settembre 2016 è stato inaugurato il rifugio ristrutturato: le porte interne sono state sostituite, i serramenti esterni sono con doppi vetri, la pavimentazione delle stanze è in legno e l’impianto elettrico rinnovato. La struttura è stata dotata di pannello fotovoltaico e può ospitare fino a 60 persone nella sala ristorante e una trentina nella zona bar. 

Al gestore sono richiesti ospitalità, ricezione, ricovero, ristorazione e pernottamento nonché presidio di primo soccorso, appoggio al Soccorso alpino e manutenzione ordinaria. Quella straordinaria rimane a carico del Cai Verbano. Il rifugio apre il penultimo sabato di maggio e chiude la seconda domenica di ottobre. In questo periodo devono essere garantiti i servizi almeno nei fine settimana e i giorni festivi, oltre all’intero mese di agosto. Il contratto ha durata annuale e il contributo annuo richiesto è di 2.580 euro. Info sul sito del Cai Verbano o al 333.6189973. 
lastampa.it

In valle Antigorio il campus per aspiranti imprenditori con idee innovative sulla montagna #RestartAlp

Dagli studi alle idee imprenditoriali per tornare a far rivivere le terre «marginali» ma ricche di tradizioni e di desiderio di riscatto. Saranno 15 giovani aspiranti imprenditori - con meno di 35 anni - i protagonisti a Premia della seconda edizione di «ReStartAlp», la fabbrica della creatività promossa da Fondazione Garrone e Fondazione Cariplo. Una scommessa nata lo scorso anno, quella di portare il campus dagli Appennini, dove è nato, alle Alpi. C’è tempo fino al 21 aprile per inviare la propria candidatura (insieme all’idea che si vuole realizzare) per partecipare gratuitamente al campus che mette in palio riconoscimenti per un totale di 60 mila euro ai tre progetti in grado di prendere avvio nella filiera produttiva alpina.  

Presentazione mercoledì
Il progetto sarà presentato mercoledì alle 10,30 a Villa Fedora a Baveno. Dalla coltivazione di stelle alpine per estrarne il prezioso olio, all’avvio di reti di teleriscaldamento a biomassa, fino al recupero delle ex stazioni ferroviarie per attività di bike sharing. Sono alcune delle idee dei ragazzi che nel 2016 hanno partecipato alla prima edizione di «ReStartAlp», che saranno premiati il 24 marzo a Milano. Riconfermata Premia come sede dell’attività di formazione che partirà il 26 giugno e durerà dieci settimane. «E’ un’idea che funziona - spiega Francesca Campora, direttore generale della Fondazione Garrone - tra i partecipanti al campus dell’Appennino nove di loro fatturano già nella propria impresa. È un successo che siamo certi sarà replicato anche per i ragazzi del campus sulle Alpi. Motivazione e competenza sono due componenti fondamentali».  

Il progetto è supportato anche da Fondazione Cariplo. «Il nostro interesse è volto anche alle aree interne, quelle più marginali per rivitalizzare le tradizioni e dare un impulso al loro rilancio - spiega Valeria Garibaldi, vice direttore area ambiente della Fondazione Cariplo -. I progetti di “ReStartAlp” si focalizzano soprattutto sull’agricoltura, l’allevamento e la filiera agroalimentare a loro collegata. Senza dimenticare l’artigianato, il turismo e la cultura».  
lastampa.it

La ristrutturazione di una delle cappelle del Sacro monte Calvario di Domodossola

L'intervento consiste nella valorizzazione del tratto inferiore dell’itinerario storico-religioso del Sacro monte Calvario di Domodossola e nel restauro della cappella del «Cireneo che porta la croce»
tratto da lastampa.it

ALLE TRE FONTANE: LA RICETTA SPECIALE DEI MONACI BIRRAI

Dal 2015 i Trappisti di Roma, fedeli alla regola dell’Ora et labora, producono una loro birra secondo la rinomata tradizione belga, ma con l’aggiunta dell’eucalipto

Non solo marmellate, miele, olio, tisane e biscotti. Dal 2015, nella bottega dell’abbazia trappista delle Tre fontane a Roma, si può acquistare anche la birra. Viene prodotta a poche decine di metri, oltre il chiostro, all’interno di un edificio che sorge tra gli alberi d’eucalipto. E non è un caso. Perché, se la produzione di birra in Italia non è mai stata prerogativa dei religiosi, all’estero ha al contrario una lunga e ricca tradizione. Basti pensare ai monasteri trappisti belgi di Chimay, Orval, Westmalle... e alle rispettive birre, in vendita anche in Italia tra gli scaffali dei supermercati.
Padre Jacques Briére, barba bianca e fini battute dall’accento francese, è dal 1996 abate del monastero trappista dei Santi Vincenzo e Anastasio alle Tre fontane. Un complesso eretto al di sotto del livello del Tevere e a pochi metri dal traffico della via Laurentina, ma immerso nel silenzio totale che avvolge il luogo del martirio di san Paolo. È stato lui ad aver avuto l’idea, alcuni anni fa, di aprire un birrificio tra le mura del monastero, proprio accanto al frantoio delle olive, in una vecchia cantina poi completamente ristrutturata. «Un giorno ne parlavo con altri padri abati. Uno mi ha detto: “La ricetta della birra trappista si trova in Wikipedia, non posso certo impedirvi di usarla”. Ma il nostro lievito è unico...». È stato poi fra Danilo, uno dei monaci più giovani, a scoprire la vecchia ricetta a base di foglie di eucalipto che, dopo alcuni anni di esperimenti, ha iniziato a essere imbottigliata come “Tre fontane”.

IN BELGIO, BIRRA E SALMI

«Ma i nuovi arrivati in realtà non apprezzano più il vino e la birra come un tempo: non c’è più la cultura cui sono stato educato in Francia». L’abate sospira e, sorridendo, pesca tra i ricordi: «Quando ero segretario dell’abate generale, lo accompagnavo a visitare i monasteri in tutto il mondo. In quelli del Belgio la visita si concludeva in birreria. Ci facevano assaggiare birre di talmente tanti tipi che quando uscivo non era difficile salmodiare i salmi in fiammingo...».
Per i monasteri trappisti, fare birra è una cosa seria. Anzi, serissima. Per tutelare i loro prodotti dalla concorrenza sleale è stata addirittura fondata un’associazione internazionale che ha stabilito i tre criteri che le birre devono necessariamente rispettare per potersi fregiare del logo «Authentic Trappist Product». Poiché la «Tre fontane» viene prodotta all’interno delle mura di un monastero trappista sotto il controllo diretto della comunità e senza scopo di lucro, ma per il solo fine del sostentamento dei monaci, nel maggio 2015 è stata aggiunta alle dieci birre (7 in Belgio, 1 in Olanda, 1 negli Stati Uniti e 1 in Austria) riconosciute ufficialmente come “trappiste”.
Quello di Roma è il birrificio più piccolo, ma è già conosciuto e apprezzato soprattutto all’estero: circa il settanta per cento delle bottiglie viene esportato. Il suo responsabile è stato fin dall’inizio un laico, Sergio Daniele, che assieme a Claudio, Cristiana, Marco e Maurizio seleziona le materie prime, prepara le cotte, imbottiglia ed etichetta.
È proprio il responsabile a spiegare che il motivo di un legame tanto forte tra i monaci e la birra risiede in motivazioni prima di tutto pratiche: «A livello folkloristico, si racconta che il vino era buono in Italia e in Francia, ma in Belgio, essendovi trasportato a dorso d’asino, vi arrivava ormai aceto. È certo comunque che con le bevande alcoliche non si correva il rischio di contrarre malattie: bevendo birra si evitava il problema della potabilità dell’acqua. D’altronde, una vecchia diatriba chiede se sia nato prima il pane o la birra: è sufficiente che un po’ di farina, acqua e lievito vadano a male perché fermentino e si formi alcool. La birra alla fine non è che pane liquido».

RISCOPERTA DI UNA TRADIZIONE

  
In realtà, la produzione di bevande alcoliche non è una novità nemmeno alle Tre fontane. Appesa al muro, una foto in bianco e nero ritrae alcuni fratelli conversi intenti a produrre l’eucalittino, nascosti sotto scuri e ampi cappucci. È stata probabilmente scattata negli anni ’50, quando il “Liquorificio Trappisti delle Tre fontane” aveva già spento un’ottantina di candeline, avendo aperto i battenti addirittura nel 1873. L’eucalittino, conosciuto come «il liquore dei romani», non era l’unico superalcolico a esservi prodotto all’epoca. L’estratto e la grappa di eucalipto, ma anche la crema di nocciola, erano già allora parte delle prelibatezze alcoliche che la regola benedettina Ora et labora assicurava agli abitanti di Roma.
Giornate, quelle dei monaci, comunque scandite dalla preghiera, a partire dalle vigilie, recitate alle 4 di notte, fino alla preghiera serale della compieta, alle 20.15. Orari rigidi che, appesi ai muri in pietra dell’austera e silenziosa abbazia, incutono un po’ di timore. Ci sarà almeno qualche bicchiere di birra ad allietare le domeniche? Padre Jacques ride: «Diciamo le domeniche molto speciali».
Foto di Stefano Dal Pozzolo/Contrasto
fonte: famigliacristiana.it

Expo Milano 2015 è stato un affare, ma non per tutti.


Almeno a distanza di tempo. In casa Nh, catena albeghiera spagnola ma a controllo cinese, hanno fatto i conti e il consuntivo 2016 lascia intravvedere qualche difficoltà: “l’Italia – si legge in una nota del gruppo – mostra una flessione del fatturato comparabile per camera disponibile (Revpar) pari al -5,9% dovuta all’assenza nel 2016 dell’Expo Milano. Come conseguenza di tale fatto congiunturale, il fatturato è sceso del 2,8%, raggiungendo quota 248,6 milioni”. “Un risultato atteso – commenta Chema Basterrechea, top manager Nh Italia – rettificando l’impatto dell’Expo nel 2015, la crescita del fatturato sarebbe stata del 4,9%, l’Ebitda ha raggiunto quota 41,9 milioni. Avevamo previsto questo scenario ora s apre una fase nuova”. Nh a livello complessivo di gruppo conferma che prosegue la crescita positiva del fatturato complessivo del gruppo negli ultimi anni, con un incremento del 5,7% rispetto al 2015: fatturato complessivo a quota 1.475 milioni nel 2016, 79 milioni in più rispetto all’esercizio precedente, guidato dall’ottima performance nel corso dell’anno di mercati come la Spagna (+13,5% ) o l’Europa centrale (+7,8%). Il Benelux, che ha aumentato i ricavi del 2,5%, l’America continua a riflettere un trend molto positivo in valuta locale su tutti i mercati (+26,6%), pur influenzato negativamente dal cambio. La strategia di gestione dei prezzi attuata nel corso dell’anno ha contribuito ad ottenere un aumento del ricavo medio per camera disponibile (Revpar) del 5,8%, dovuto principalmente ad un aumento dei prezzi pari al 4,6% e dell’occupazione dell’1,2%. Nel 2016 l’Ebitda +21% a quota 181 milioni, guidato da un aumento di marginalità che migliora di +1,6 punti percentuali al 12,3%. Nel frattempo, il risultato netto delle attività ricorrenti presenta un profitto positivo per la prima volta dal 2008, pari a 11 milioni. Compresa l’attività di natura non ricorrente, questa cifra aumenta fino a 31 milioni di utile netto totale, 30 milioni in più rispetto all’anno 2015. E per il 2017? Alla fine di gennaio, il cda ha approvato all’unanimità la nomina di Ramon Aragonés  a Ceo. La società prevede di raggiungere un obiettivo pari a 220-225 milioni di Ebitda.
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