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Il circo di Dubuffet debutta alla galleria Pace di New York scultura-piazza apre l'universo del padre dell'Art Brut

 

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NEW YORK - Una monumentale scultura, ma anche una piazza, e dalle strade di Chelsea a Manhattan il visitatore entra nell'universo alternativo dell'artista. "Le Cirque" di Jean Dubuffet occupa fino al 24 ottobre l'intero primo piano della nuova sede della galleria Pace: un ambiente abitabile che suggerisce uno spazio urbano, parte di una serie che il padre dell'Art Brut creò tra fine anni '60 e inizi anni '70 come modelli per essere ulteriormente trasformati in spazi architettonici.

"Le Cirque" del 1970 è uno degli ultimi esempi realizzato in scala eroica e viene esposto da Pace per la prima volta in vista di una grande mostra in febbraio al Barbican di Londra: la prima in 50 anni nel Regno Unito su 40 anni di carriera dell'artista. L'opera segna un momento cruciale nella produzione di Debuffet, arrivando verso la fine del ciclo Hourloupe, il più lungo e prolifico nella vita dell'artista, cominciato con disegni e dipinti a cui poi Debuffet "diede vita" espandendone la presenza spaziale e concluso con la performance "Coucou Bazar" di ispirazione surrealista realizzata nel 1973 per la retrospettiva al Guggenheim.

Il modello originale di "Le Cirque" fu creato poco dopo la seconda personale di Dubuffet da Pace nel 1970 che segnò anche il debutto di una serie di nuove sculture in bianco e nero intitolate "Simulacri". La prima mostra Dubuffet da Pace era stata due anni prima, dopo che il fondatore della galleria allora agli esordi Arne Glimcher aveva incontrato l'artista in un caffè parigino e aveva cominciato a collaborare con lui.

In una lettera a Glimcher, Dubuffet collegò direttamente la "linea meandrica, ininterrotta e risolutamente uniforme" delle sculture ai dipinti Hourloupe degli anni precedenti. Usando lo stesso linguaggio di forme lineari in bianco e nero, il modello per "Le Cirque" immagina un ambiente monumentale che immerge il visitatore in quello che l'artista definì "un universo continuo e indifferenziato".

Influenzato profondamente dal panorama urbano della Parigi del dopo-guerra, "Le Cirque" registra il frenetico movimento del traffico e dei corpi come stabilito nel periodo "Paris Circus" (1961-1962). Lavorando nel suo studio di Périgny-sur-Yerres, Dubuffet determinò la forma finale di "Le Cirque" manipolando cinque distinte unita' usate per la scultura su grande scala "Eléments d'architecture contorsionniste". Ricombinando questi elementi, "si forma un ambiente", spiega l'artista, "che consiste in elaborazioni mentali e conseguentemente un nuovo tipo di architettura fatta di allusioni e evocazioni che appartengono alla spera mentale più che a quella fisica" in cui lo spettatore diventa un surrogato per le irrequiete figure dell'artista.

Al TTG i turisti post Covid, da randagi a trepidi

 

Dai viaggiatori "randagi" fortemente attratti dalle destinazioni che garantiscono comunque "divertimento" e "socializzazione" agli "opportunisti" sempre alla ricerca di continue promozioni e spesso in vacanza da amici e parenti. Dagli "irriverenti" che non temono né treni, né aerei, né altri mezzi di trasporto collettivi ai "trepidi" che sono disposti a spendere di più pur di avere maggiori rassicurazioni sanitarie. Al TTG Travel Experience che si apre domani a Rimini si parlerà dei 16 profili dei turisti post Covid grazie a una ricerca di Jfc.

La pandemia ha trovato il turismo italiano in un momento di grande espansione ma lo ha colpito duramente e inevitabilmente ha cambiato e cambierà il modo di viaggiare. E si è passati dalla gestione dell'overtourism all'instabilità e all'incertezza con molte strutture ricettive in "stand by", instabilità e incertezza, cancellazioni e annullamenti. E quando la ripresa arriverà "Quasi un italiano su due - spiega all'ANSA Massimo Feruzzi amministratore unico di Jfc che presenta a Rimini un corposo studio sull'argomento (domani alle 10.30 all'Italy Arena, padiglione C5) - manifesta la volontà di cambiare la propria propensione a soggiornare fuori casa prossimamente e di questi, il 46,3% è condizionato dalla presenza del Covid-19. L'altro dato molto interessante, emerso dalle nostre rilevazioni degli ultimissimi giorni, è che il 47,3% dei connazionali desidera viaggiare ma attende l'ultimo momento in base a come si evolve la situazione".

In generale il coronavirus ha accentuato e fatto esplodere tendenze specifiche come il turismo Open Air e green, quello che prevede spazi individuali e "lontani dalla pazza folla" anche con servizi servizi personalizzati e tailor made. E ha fatto scendere a picco nel gradimento tutto ciò che è gestito con approssimazione e genericità, servizi standard e uguali per tutti e soprattutto con messaggi non chiari sulla sicurezza sanitaria. Inoltre, secondo l'indagine, ha ridotto i sistemi di mobilità collettiva (aereo, treno, pullman) e fatto affermare i fenomeni di turismo di prossimità e infra-regionali.

Tornando ai profili dei nuovi viaggiatori, tracciati con 5.615 questionari in 4 diverse indagini qualitative, Jfc individua due maxicategorie quelli più liberisti (rispetto al Covid) e quelli più protezionisti. Tra i primi, disposti a spendere di più, troviamo i viaggiatori "irriverenti", "lussureggianti", "libertini" e "naturisti" e, tra quelli disposti a spendere di meno, i turisti "selezionatori", "scalatori", "randagi" e "fluttuanti". Poi ci sono i viaggiatori per cui il Covid e la sicurezza pesano di più: anche tra di loro ci sono quelli i big spender ("ricercatori", "trepidi", "rispettosi" e "garantisti") e i low spender ("tradizionalisti", "titubanti", "garantisti", "opportunisti").

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Michelangelo il divino, genio che intimoriva i Papi

 

Accolto in casa da Lorenzo il Magnifico, conteso da principi e papi. Ma anche costretto a fuggire dalla sua Firenze dopo la cacciata dei Medici e poi dalla capitale saccheggiata dai barbari, obbligato a destreggiarsi nelle lotte per il potere e nei rivolgimenti politici della sua città, intimorito dai sermoni apocalittici del Savonarola. Michelangelo "il divino" come già lo definiva in vita Giorgio Vasari, artista unico e universale, è stato testimone e spesso protagonista, suo malgrado, di un secolo glorioso e travagliato. E a dispetto di un carattere estremamente schivo e di un'etica del rigore quasi ossessiva, la sua lunga vita, così prodiga di capolavori, dalla Pietà al David, dagli affreschi della Sistina alla cupola della basilica di San Pietro, è stata anche puntellata di incontri e di rapporti straordinari, in un dialogo continuo con i potenti di allora, con i quali riuscì a mantenere relazioni che pure non furono mai di sudditanza. Tanto che il veneziano Sebastiano del Piombo, per anni suo amico e sodale, glielo sottolineava scherzoso: "Michelangelo, tu fai paura anche ai papi" . Tant'è , tra i suoi committenti ci sono stati ben cinque pontefici e diversi capi di stato e a lusingarlo arrivò persino la proposta del sultano turco Bayezid II, che voleva affidargli il progetto di un ponte sul Corno d'Oro da Costantinopoli a Galata. Ed è proprio su questi incontri d'eccezione e sull'incredibile combinazione di talento, determinazione e circostanze fortunate che rese la vita di quest'uomo geniale assolutamente unica, che si incentra "Michelangelo. divino artista", dal 21 ottobre al 14 febbraio a Palazzo Ducale con oltre 120 opere tra disegni, bozzetti, lettere autografe e documenti. Una mostra particolare che "deve fare i conti con l'inamovibilità della grande maggioranza delle opere autografe dell'artista", premette all'ANSA Cristina Acidini, la studiosa che nel 2014 ha firmato la grande rassegna romana allestita ai Musei capitolini per i 450 anni dalla morte, oggi curatrice del progetto genovese sempre con Alessandro Cecchi ed Elena Capretti . Ma che può egualmente contare sulla presenza di opere molto interessanti: in particolare due sculture, la giovanile e già straordinaria Madonna della Scala, bassorilievo realizzato intorno al 1490 da un Michelangelo poco più che quindicenne, e il Cristo Redentore (1514-1516) oggi conservato nella chiesa di San Vincenzo Martire a Bassano Romano, un' opera monumentale identificata solo venti anni fa con la prima versione del Cristo di Santa Maria sopra Minerva a Roma. E ancora su una testa di Bruto prestata dalla Galleria Colonna di Roma "particolarmente interessante per il soggetto", spiega Acidini, che sembra essere un rimando alle lotte di potere fiorentine, e un crocifisso ligneo abbozzato in tarda età per il nipote Lionardo, che ne sarà l'erede. Accanto alle sculture i disegni autografi - che da soli varrebbero il viaggio - e in particolare la preziosa Cleopatra disegnata per l'amato Tommaso de Cavalieri (con la scoperta recente di un retro nel quale la bellissima sovrana appare stravolta dall'angoscia). E poi gli scritti, le lettere e le rime, tanti documenti che ricostruiscono il racconto di una avventura senza uguali. Un percorso completato dalle opere dei collaboratori, in molti casi dirette e ispirate dallo stesso Michelangelo, che generosamente regalava cartoni agli artisti meno dotati e offriva spunti creativi (lo fece persino con Sebastiano dal Piombo che riteneva 'debole' nel disegno). E dai ritratti, quelli fatti all'artista e quelli dei personaggi storici che ha incontrato, oltre a medaglie, rime, lettere di autori vari.
    Prima assoluta per la Liguria, la rassegna - prodotta e organizzata da Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura e dall'Associazione Culturale MetaMorfosi- vuole essere anche l'occasione per sottolineare i rapporti di Michelangelo con la regione, attraverso Giulio II per esempio, che come già Sisto IV apparteneva ai Della Rovere, originari di Savona. Sarà un'occasione, quindi, anche per la riscoperta di tesori nascosti, monumenti, palazzi e opere d'arte sparsi nella regione. E perché no per incroci virtuosi con la Pinacoteca di Savona, dove una rassegna parallela ("Intorno a Michelangelo") approfondisce il rapporto tra l'arte contemporanea e l'eredità culturale e artistica dei due papi mecenati. (ANSA).

"Underland. Un viaggio nel tempo profondo" di Robert Macfarlane

 

Ci sono voluti quasi dieci anni allo scrittore, critico letterario, insegnante all’Emmanuel College di Cambridge, padre e viaggiatore Robert Macfarlane (Oxford, 1976) per scrivere il suo ultimo "Underland. Un viaggio nel tempo profondo" (Torino, Einaudi 2020, traduzione di Duccio Sacchi). Dieci anni per addentrarsi nel ventre della terra, alla ricerca degli incontri tra natura e passaggio umano. Dieci anni di domande e ricerche per indagare quel che c’è sotto un mondo che preferisce guardare in alto — perché sopra stanno i forti, i vincenti, e sotto gli sconfitti — con una prosa che a tratti si fa poesia; con una luce che a tratti si fa veramente flebile, specie quando il lettore viene fatto scivolare in una presa quasi claustrofobica. Introdotto anche questa volta dal maestro delle copertine Stanley Donwood (e i Radiohead potrebbero esserne la degna colonna sonora), il libro di Macfarlane srotola un viaggio che pone domande radicali. Affidandosi a guide che sono tanto operatori e studiosi, quanto letterati e poeti (così preziosi i libri con gli indici analitici); tra antichi miti e turismo di oggi; tra i fiumi sotterranei scavati nel calcare dell’altopiano del Carso, le viscere di Parigi e i rifiuti nucleari sepolti in Finlandia in un nascondiglio dai troppi significati, il viaggio — tripartito tra vedere, nascondere e infestare— è l’occasione per riflettere sull’instabilità del tempo e dello spazio, sulla relazione tra l’uomo e la natura. Su quel che pare eterno, ma invece è spesso così fragile. Un libro fitto come la pioggerella impalpabile che finisce per bagnarci tutti, quasi invisibile eppure capace di arrivare al profondo di ciò che siamo. Che siamo stati e che potremmo, in futuro, essere.

di Giulia Galeotti

Osservatore Romano