Blog Expo: Al Meeting 2019 La chimera di Mario Schifano

Al Meeting 2019 La chimera di Mario Schifano

L’opera verrà presentata nel contesto della mostra NOW NOW. Quando nasce un’opera d’arte

Mario Schifano al Meeting di Rimini. Una delle sue opere più monumentali (10 metri per 4), intitolata La Chimera, arriverà alla manifestazione di fine agosto nel contesto della mostra “NOW NOW. Come nasce un’opera d’arte”, un progetto di Casa Testori, curato da Davide Dall’Ombra, Luca Fiore, Giuseppe Frangi e Francesca Radaelli.
L’opera di Schifano, realizzata dal vivo davanti a un pubblico di 6mila persone, il 16 maggio 1985 in Piazza SS. Annunziata a Firenze, in occasione dell’inaugurazione dell’anno degli Etruschi, è la giusta introduzione per un percorso che vuole essere un affondo su un aspetto centrale dell’arte contemporanea, il fatto, cioè, che essa nasce ORA. Il visitatore della mostra ha la possibilità di vedere sette giovani artisti al lavoro, intenti a creare un’opera caratterizzata da un compimento finale, al termine della settimana, e da raggiungimenti intermedi, visibili giorno dopo giorno.
I sette artisti, che usano tecniche e linguaggi molto diversi tra loro, trasferiscono in fiera il proprio studio, mettendosi a nudo, a disposizione dei visitatori, dei loro sguardi ma anche delle loro domande e osservazioni. Si tratta, a quanto ne sappiamo, di un esperimento mai tentato prima, almeno con questi numeri e intensità performativa, che va oltre il concetto di arte partecipata, superando il rischio del voyeurismo, o dell’effetto Grande Fratello, grazie a una componente di interazione che non mancherà certamente, non solo grazie a momenti di dialogo con i visitatori, ma anche in conversazioni pubbliche giornaliere, cui è dedicata un’apposita area in mostra.
È così che Elena Maria Canavese (Milano, 1989)  monta i suoi set fotografici tratti dal quotidiano, perché i piccoli oggetti domestici arrivino a raccontarci luoghi e immagini dell’universale: dall’universo in una cucina alla cucina dell’universo. Danilo Sciorilli (Atessa, CH, 1992) pone l’accento sul senso dell’esistenza in rapporto con la sua inevitabile fine: la racconta con gli strumenti dell’animazione video che lo caratterizzano e con l’inedita trasformazione di alcuni giochi seri della nostra giovinezza. Alberto Gianfreda (Desio, MB, 1981) presenta le sue sculture di ceramica frantumata e ricomposta per diventare mutabile e in movimento: alla storia umana che ha sempre animato la sua opera, si aggiunge ora la lotta metaforica del regno animale. A Elisa Muliere (Tortona, 1981) spetta portare in mostra la pittura, con la sua energia informale e poetica, intenta a tradurre in colori e forme le note di un’ossessiva musica contemporanea. Alberto Montorfano (Como, 1984) declina il proprio tratto a grafite, in una sovrapposizione continua di volti, presi dagli scatti fotografici diretti: una registrazione dei flussi del “popolo” di Rimini che si interroga su immagine multipla e identità. bn+ brinanovara, al secolo Giorgio Brina (Milano, 1983) e Simone Novara (Milano, 1984), con le mappe di gommapiuma, tessuto e marmo bianco di carrara, stese di giorno in giorno dietro a un paio di idoli di ghiaccio in scioglimento, raccontano la storia verosimile di un Iceberg che punta la latitudine di Rimini, esemplificando al visitatore quanto può essere difficile raggiungere la semplicità. A completare la squadra non poteva mancare il linguaggio video, grazie a Stefano Cozzi (Segrate, MI, 1989), che realizza un cortometraggio artistico della mostra stessa, documentandola in un video che crescerà di giorno in giorno, dall’arrivo degli artisti alla conclusione delle opere.
Questa mostra compie una terna di progetti espositivi che Casa Testori ha curato per il Meeting di Rimini, con l’intento di avvicinarne il pubblico all’Arte Contemporanea (Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell’arte contemporanea, 2015 e Il passaggio di Enea. Artisti di oggi a tu per tu con il passato, 2017, quest’ultima con opere di Andy Warhol, Michelangelo Antonioni, Emilio Isgrò, Alberto Garutti, Giovanni Frangi, Adrian Paci, Wim Wenders, Andrea Mastrovito, Gianni Dessì). L’obbiettivo era quello di condividere con un bacino allargato di persone di ogni età e provenienza (nelle edizioni precedenti i visitatori sono stati oltre 20mila) la bellezza e necessità dell’espressione artistica di oggi. Rispetto a quella del passato, l’Arte Contemporanea richiede probabilmente maggior disponibilità d’ascolto da parte del visitatore e abbisogna di oneste chiavi d’accesso, che il curatore ha il dovere di offrire. Sta di fatto che le prime due mostre si sono dimostrate in grado di regalare al pubblico importanti occasioni di conoscenza del proprio presente, spesso grazie a un’inaspettata empatia del desiderio.
Schifano e La Chimera
«Mario salì su un palco quasi a misura del quadro, i fari proiettavano una luce abbagliante, la gente lo sfiorava allungando le braccia per poterlo toccare. Cominciò nel brusio generale a fare il colore del fondo su quell’enorme distesa di tele bianche sdraiate. Gli assistenti gli passavano i secchi pieni di vernice, i minuti scorrevano e Mario sempre più veloce si muoveva da una parte all’altra distribuendo rapide pennellate, posizionando e contornando le sagome. I ragazzi non riuscivano a stargli dietro, Achille cominciò la sua cronaca ma dovette sopportare di tutto, perché aveva dei detrattori tra il pubblico. Quando finalmente alzarono le tele per far colare lo smalto la gente ammutolì, i fischi cessarono. Ci fu un’esternazione di meraviglia. Davanti ai nostri occhi aveva preso vita un paesaggio con la linea dell’orizzonte molto bassa. Dal terreno le sagome grondanti delle chimere partivano in volo verso il blu profondo del cielo, capovolgendosi e volteggiando nell’aria verso il bianco accecante della luce al lato opposto, a dissolversi come sogni al mattino.
Non si sentiva volare una mosca. Poi portarono un trabatello o come si chiama quella specie di piattaforma sopraelevata, Mario ci salì sopra per finire il lavoro e cominciò rapito a dipingere con due mani contemporaneamente. Sì, con due pennelli insieme: sembrava un direttore d’orchestra. Da sotto si fecero avanti li amici, gli assistenti, per aiutarlo, ma lui li cacciò via e seguitò nella sua sinfonia mentre uno schermo gigante mandava la sua immagine. Lo guardavo e pensavo che c’era riuscito, aveva realizzato un’opera emozionante come la sua esecuzione, uno spettacolo a cui tante volte avevo assistito da sola».
Monica De Bei, moglie dell’artista (da Luca Rochi, Mario Schifano. Una biografia, Johan&Levi)
I cieli di Schifano
«La velocità, rapinosa e autorale, ardente e felice come il respiro d’un neonato e sospesa, insieme, sull’eterno come il respiro d’un morente: la velocità, dicevo, con cui su queste tele il colore corre, fruga, s’esalta in immagini, si glorifica, si frantuma, cola in lunghissime feste, lagrime e bave, non ha oggi, paragone alcuno.
V’è qualcosa, per l’appunto, dell’ultimo Monet, ma come ingagliardito da un viraggio glorioso, da un’inattesa, mattinale vittoria; qualcosa v’è, anche, d’un Matisse, ma come gettato tutto sulle carezze, sulle voci, sui brividi, sull’albe e sui respiri dell’aperto...
Sono opere, non di fuga dalla terribile, cieca ed egoistica mediocrità meccanica del presente, ma che, del presente, formano un’alternativa lucida e piena, oltre che una sfida; nel nome dell’uomo, della sua breve eppur infinita levità e, ripetiamolo, dell’infinita levità e bellezza di tutta e intera la creazione».
Giovani Testori, dal “Corriere della Sera” del 1983
Chi è Mario Schifano
 «Schifano diceva: “La pittura è la mia maniera di esistere”. E la sua pittura non aveva altre pretese che non quella di vivere, di essere…
Cè la stagione della Pop Art all’italiana, contemporanea a quella americana: Schifano più che opporsi al dilagare del nuovo immaginario consumistico, lo fa suo, lo metabolizza. Ci sono i complicati anni Settanta, che lo vedono intercettare inquietudini, delusioni, spaesamenti; una stagione anticipata dal suo celebre ciclo “Compagni compagni” (1968), icona di un sogno fallito, ma anche testimonianza dello slancio umano e dell’aspirazione di libertà che l’avevano caratterizzata.
Gli anni Ottanta vedono Schifano nel flusso vasto del ritorno alla pittura. Ma il suo accento ha una freschezza che lo tiene al riparo da qualsiasi spirito revanscista, o da un’arte che si rifugia nelle allusioni o nelle metafore. Il fatto chiave di quegli anni è la nascita del figlio tanto desiderato. Marco viene alla luce nel 1985, l’anno della Chimera, e per Schifano rappresenta un punto di scaturigine creativa impressionante. Non solo. L’arrivo del figlio mette a nudo il suo cuore poetico, lo scopre in maniera definitiva, lo libera. È uno Schifano che procede con gli occhi sgombri del bambino. La sua mente si apre a tutte le cose senza mai schedarle. Il mondo sembra sempre stupirlo, tant’è vero che quando lo trasforma in pittura (perché Schifano trasformava in pittura tutto quel che toccava), è come se rappresentasse un mondo mai visto. Un mondo appena nato...»

Giuseppe Frangi, dal testo in catalogo 

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