Partiranno nei prossimi giorni i restauri nella Basilica di San Marco per risolvere i danni causati dalle acque alte nelle aree del nartece e del transetto sud. Sono interventi che interessano vaste aree della basilica e si avvalgono di un corposo finanziamento di 3,3 milioni di euro ottenuto dal Ministero della Cultura nell’ambito del Piano Strategico 2021-2023 “Grandi Progetti Beni Culturali”.
Poiché si trova nell'area più depressa dell'area della piazza, la basilica di San Marco ha sofferto e soffre particolarmente del fenomeno delle acque alte. Nel decennio precedente il 2019 (anno dell’entrata in funzione della prima difesa fino a +87 cm sul medio mare, seguita dall’installazione temporanea della barriera in vetro) la media delle invasioni si è aggirata intorno ai 110 eventi annui. Come spiega il "Proto" di San Marco (ossia l'architetto responsabile della tutela e del restauro della basilica) Mario Piana, «ogni invasione dovuta alla marea, sommergendo talvolta anche per oltre un metro la base dell'edificio, ha significato l'azione di notevoli quantità di acqua salata che hanno esasperato la degradazione delle pietre e dei marmi che la rivestono, fatto particolarmente preoccupante perché il loro spessore, esilissimo, di rado supera i 3 cm, ma anche degli apparati scultorei, delle pavimentazioni in opus sectile e tessellatum, degli stessi mosaici parietali... Tra le parti che hanno particolarmente sofferto dalla grande invasione del novembre 2019 ricadono le cruste lapidee e marmoree che rivestono le pareti interne dell’ala nord del nartece, e la pavimentazione in opus tessellatum attorno all’altare del Santissimo Sacramento».
I restauri del nartece
Sono proprio queste le aree interessate dagli interventi. I marmi del nartece, che soffrono anche a causa delle conseguenze delle malte impiegate nei restauri ottocenteschi, sono costituiti da marmo Proconnesio, Pietra d’Istria, Pietra d’Aurisina, Portasanta (marmo Chio), Bigio antico (marmo Lesbio), Verde antico di Tessaglia, marmo statuario Lunense, Rosso Ammonitico veronese, Pavonazzetto antico, Pomarolo (breccia di Arbe), Grigio carnico, Occhio di pavone, Nero assoluto, Cipollino rosso (marmo Iassense), Lumachella di San Vitale, oltre a un Marmo bianco e una Lumachella a megalodon, ambedue di provenienza incerta. Come spiega Piana, «l’intervento previsto – preceduto una campagna di analisi mineralogico-petrografiche e chimico-fisiche – si è posto due obiettivi fondamentali: da un lato rimuovere, nei limiti del possibile, le cause del degrado delle incrostazioni marmoree, dall’altro arrestare l’avanzare del degrado stesso che in forme e misura diversa le colpisce».
L’area pavimentale attorno all’altare del Santissimo, affacciato sul braccio meridionale del transetto, è costituita da una pavimentazione musiva di età medievale, probabilmente risalente al XII-XIII secolo. Composta da un tappeto centrale percorso da girali vegetali e contenente coppie di animali e contornato da una fascia di girali vegetali, guarnita nel suo lato breve rivolto a meridione, da una banda di filetti tra loro intrecciati, la superficie mosaicata ha subito nel corso dei secoli consistenti rifacimenti e restauri.
I mosaici del transetto
La superficie mosaicata presentava già forme di degrado che si sono esasperate a seguito dell’acqua alta del novembre 2019, con la comparsa di rigonfiamenti diffusi, la perdita di quasi 2 metri quadri di superficie, lo scalzamento e la dispersione delle tessere musive. Nei giorni immediatamente successivi la grande acqua alta, la pavimentazione è stata sottoposta a numerosi cicli di desalinizzazione, attuati mediante impacchi di carta giapponese e acqua distillata.
«Anche il mosaico pavimentale - spiega l'architetto Piana - verrà sottoposto a un impegnativo intervento che comprenderà il completo distacco del tappeto centrale, la rimozione delle malte compromesse e la ricollocazione delle superfici musive. Le sezioni distaccate verranno immerse in vasche e colme di acqua deionizzata, per rimuovere i sali presenti nelle tessere lapidee e nelle malte. L’area di pavimento distaccato verrà impermeabilizzata, per preservare il pavimento dall’acqua salmastra che impregna i terreni. La ricollocazione delle sezioni avverrà, nel rispetto delle ondulazioni e inclinazioni delle sue superfici iniziali. Le aree scomparse – grazie alla documentazione offerta da vecchie lastre fotografiche e a un calco di carta dell’area realizzato nel passato – verranno integrate riproducendone i motivi, con l’impiego di tessere lapidee e vitree di colorazione leggermente attenuata rispetto alle esistenti».
Chi conserva la basilica di San Marco?
Dalle origini e fino alla fine del XVIII secolo la basilica di San Marco è stata cappella ducale ed è perciò segnata dalla secolare storia civile e religiosa della Serenissima. Solo dal 1807, per volere di Napoleone Bonaparte, fu passata dallo Stato alla Chiesa, divenendo cattedrale della diocesi veneziana. La basilica è stata realizzata e conservata dai Procuratori di San Marco, la più alta magistratura della Repubblica Serenissima, che gestiva tutte le proprietà del Doge. Dopo la caduta della Repubblica Serenissima (1797) e la parentesi napoleonica, sotto il governo austriaco (1815-1866), la conservazione fu gestita da una Imperial Regia Commissione, che fu direttrice dei lavori fino al 1853, quando il ruolo fu affidato all’ing. Giovanbattista Meduna, che lo mantenne fino alla morte nel 1887.
Nel concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica del 1929 vengono definite le fabbricerie, organi di gestione i cui componenti sono nominati dal Ministro dell’Interno (5) e dal Vescovo (2) per un numero limitato di Chiese di particolare valore storico-artistico e con un particolare rapporto con le città che le ospitano. Molte di queste fabbricerie, tra cui quella di San Marco, si sono costituite successivamente come Onlus. Per regio decreto, la fabbriceria che gestisce la Basilica di San Marco assume il nome antico di Procuratoria e i componenti del Consiglio sono chiamati Procuratori. Essi svolgono il loro mandato triennale (rinnovabile), non retribuito, come volontari e in assenza di conflitti di interesse. La Procuratoria è l’ente cui compete la tutela, la manutenzione ed il restauro della Basilica.
avvenire.it
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