Locarno Film Festival 2025: oltre i premi

Federico Buffa, Mauro Bevacqua e Michele Pettene ci raccontano i film, le tendenze e le emozioni che hanno caratterizzato la 78.ma edizione della kermesse cinematografica elvetica.
Sabato 16 Agosto è calato il sipario – leopardato – sul 78° Festival di Locarno dopo una undici giorni cinematografica che, oltre alla solita girandola multiculturale di film, ha ribadito con forza il ruolo e l’importanza nel panorama internazionale del secondo festival cinematografico più antico del mondo. Nella seconda edizione della neo-presidentessa Maja Hoffmann e nella quinta con a capo il direttore artistico Giona Antonio Nazzaro, Locarno ha sfoderato numeri da capogiro, unendo alla consueta offerta dei migliori interpreti – veterani o esordienti - del cinema indipendente mondiale eventi, sezioni e retrospettive che, a partire dal famoso schermo di Piazza Grande, non hanno deluso nessun tipo di spettatore.

Numeri, sezioni e vincitori

Con 224 film, 101 prime mondiali e oltre 300 proiezioni, le sale di Locarno hanno offerto una vetrina d’eccezione per il meglio del cinema mondiale, ospitando decine di incontri con registi, attori e addetti ai lavori, tra cui l'attrice britannica Emma Thompson (a Locarno 2025 con "The Dead Winter"), l'icona Jackie Chan, una superstar come Willem Dafoe (a Locarno con "The Birthday Party"), il regista statunitense Alexander Payne, la costumista italiana premio Oscar Milena Canonero, la star asiatico-americana Lucy Liu (che in Piazza Grande ha presentato il film "Rosemead") e un incontro imperdibile tra due monumenti del cinema iraniano dissidente come Jafar Panahi e Mohammad Rasoulof. Il Concorso Internazionale è stato vinto dal giapponese "Two Seasons, Two Strangers" (regia di Sho Miyake), mentre il Concorso Cineasti del Presente da "Hair, Paper, Water..." (Nicolas Graux e Trương Minh Quý) una co-produzione tra Belgio, Francia e Vietnam. In parallelo, la Retrospettiva di Locarno78 “Great Expectations: British Postwar Cinema (1945–1960)” e la sezione Histoire(s) du Cinéma hanno ripercorso alcune delle pagine più interessanti – e meno conosciute – della storia del cinema.
Lo splendore del Sol Levante

"Forse il viaggio è un modo per fuggire dalla gabbia delle proprie parole". La citazione, simbolico riassunto delle riflessioni sulla propria vita di una sceneggiatrice in cerca di se stessa arriva sul finale di "Two Seasons, Two Strangers", meraviglioso film del giapponese Sho Miyake vincitore del Pardo D'Oro, solo il quarto titolo del Sol Levante a riuscirci nella storia del Locarno Film Festival. Un'opera intima, profonda e sussurrata, con una natura maestosa e indulgente a circondare i protagonisti: nella prima parte sono il mare, la spiaggia e le confessioni di due sconosciuti sotto la pioggia a trasportare sul grande schermo le immagini del manga "A View of the Seaside" (1967) di uno degli artisti giapponesi più celebrati, Yoshiharu Tsuge, cui il film è ispirato; nella seconda sono l'inverno e la purezza di un Giappone remoto e innevato ad aiutare la protagonista a ritrovare la propria creatività. Terapeutico per lei e pure per noi.
Sempre per il Concorso Internazionale e sempre dal Giappone arrivava anche "Yakushima's illusions" di Naomi Kawase - strappata a Cannes e Venezia - l'affascinante racconto di una chirurga francese dipendente dell'ospedale pediatrico di Kobe, in un Paese dove il trapianto d'organi per i più piccoli trova ancora tante barriere, soprattutto culturali: un divario incolmabile che la protagonista vivrà anche nel rapporto con un ragazzo giapponese, inafferrabile e seducente come la natura selvaggia che li aveva fatti prima incontrare e poi innamorare.

Romania, genio e sregolatezza

Che il cinema di Radu Jude si diverta ad andare spesso sopra le righe non è certo una novità, ma il film presentato in quest'edizione del festival (dopo aver vinto il Premio Speciale della Giuria nel 2023 con "Do Not Expect Too Much from the End of the World") potrebbe aver superato anche le aspettative dei fan più estremi del geniale cineasta di Bucarest. "Dracula", attesissima ultima opera dopo il premio alla Miglior Sceneggiatura alla Berlinale 2025 e presentato nel Concorso Internazionale, è un intruglio dichiaratamente a basso budget che eleva la provocazione a cifra stilistica, decostruendo la più classica delle icone rumene per sfottere la società, il governo e la Storia rumene tutte insieme, non risparmiando critiche sferzanti alle ultime evoluzioni della Settima Arte, a Hollywood e al pubblico boccalone, attirato in sala dal nome altisonante e costretto invece a quasi tre ore di forme falliche distorte dall'Intelligenza Artificiale, Dracula capitalisti e impalatori-bambini.
Non era altrettanto esagerato ma di certo non si è risparmiato certe libertà anche "Sorella di Clausura" (così il titolo originale) l'altro film rumeno che ha fatto sollevare parecchie sopracciglia: diretto dalla serba Ivana Mladenovic e ambientato nella Romania del 2008 durante la crisi finanziaria globale, si autodefiniva "un'affettuosa parodia dei melodrammi romantici" alle prese con le disavventure sentimentali e non solo di Stela, aspirante scrittrice disillusa con l'ossessione per un'attempata rockstar serba, tra sesso, soldi, povertà e tanta ironia, essenziale per sopravvivere in uno dei periodi più cupi per le fragili economie balcaniche. Con un colpo di scena: ricevuti due di picche da chiunque per la parte del cantante serbo alla fine la regista ha ingaggiato il padre, veterinario in pensione. L'esordio più incredibile ed esilarante di tutto il festival.

La foglia morta

La foglia morta è un concetto più conosciuto a un pubblico calcistico che cinefilo: ma d’altronde nei 186 minuti di “Dry Leaf”, visto nel concorso internazionale, i protagonisti ne spendono una buonissima parte in giro per campetti di calcio nella campagna georgiana. C’è un perché: c’è un padre alla ricerca di una figlia improvvisamente scomparsa (o forse no) e – come dice il regista Alexandre Koberidze (già apprezzatissimo per “What Do We See When We Look at the Sky?”) – ci sono dei personaggi che “si arrendono alla traiettoria del loro viaggio e si affidano al vento che li guida”. Proprio come un pallone calciato a foglia morta.
Ritorna Mektoub

Sempre nel concorso internazionale torna alla ribalta anche Abdellatif Kechiche: uno che ha vinto una Palma d’Oro (per “La vita di Adele”, nel 2013) e poi ha scelto di rivendersela all’asta per finanziare il suo mega-progetto “Mektoub my love”. Che ha visto un “Canto Uno” (apprezzatissimo e poi travolto dalle polemiche), un “Intermezzo” (pure peggio: mai arrivato in sala) e ora questo “Canto Due”, presentato in anteprima mondiale a Locarno. Ha diviso e con ogni probabilità non lascerà il segno, ma nei suoi 134 minuti ha saputo divertire e ha messo in mostra una Jessica Pennington capace di farsi tanto odiare quanto amare con la stessa intensità, costruendo un personaggio che non può lasciare indifferenti.

Sulla strada con Kerouac

Ebs Burnough firma un omaggio – non il primo, forse neppure l’ultimo – al romanzo capolavoro di Jack Kerouac, “Sulla Strada”. Di “Kerouac's Road: The Beat of a Nation”, presentato fuori concorso, scegliamo di sottolinare soltanto la più originale, e azzeccata, definizione del rapporto tra Sal Paradise (Jack Kerouac) e Dean Moriarty (Neal Cassidy) mai sentita. Ovvero: quando “FOMO meets YOLO”. Applausi.

Fiore o foglia profumata, nessuno nel mondo da i nomi come i Persiani che preferiscono però non essere chiamati con nomi che gli hanno dato i Greci. . Dicono di lei: "Si distingue soprattutto per un'intensità interpretativa singolare che sembra emanare naturalmente dalla sua carne, e che si manifesta con la discrezione dei piccoli." Dicono bene. Eppure in "Alpha" magnificamente diretto da Julia Ducournau, sotto due ore di una luce tanto veridica quanto impietosa che poche star internazionali accetterebbero, i suoi gesti e la palette delle sue espressioni si moltiplicano. "Per Julia abbiamo tutti dato il 200%. Io non ho mai dato così tanto, Jean-Charles Clichet è dimagrito sino a non riuscire più a reggersi in piedi per rendere il suo tossico terminale credibile."
La sua di vita è invece incredibile: Teheran classe 1983, figlia di un marxista perseguitato dal regime iraniano, fugge a Parigi, dove non casualmente era in esilio l'Ayatollah Khomeini e si deve totalmente reinventare. Ogni regista che vede i suoi occhi la vorrebbe. Gira "Paterson" per Jarmusch ma Hollywood - che non le garba - le offrirebbe camionate di presidenti spirati per farle interpretare la sexy femme persiana che protegge gli interessi della Repubblica islamica avvelenando e martirizzando. Ovviamente no.
Dunque "vive la France!" che lei considera un'adolescente di 14 anni libera per natura, eccessiva e sofferente. Torna a casa, qualcuno la vorrebbe nel famigerato carcere di Evin, qualcuno la vorrebbe sposare. Il giudice che ha condannato tutti i maschi della sua famiglia l'avvicina e le dice di adorarla e le mostra le foto sul telefono. Impossibile? Non in Iran. Quando parla del suo Paese si commuove. I Persiani parlano e scrivono per metafore da duemila anni, ecco perchè madame G dice che da quelle parti tutto è possibile. Da duemila anni...e continua. Più di un fiore, madame G è un dono.

Ritorna Mektoub

Sempre nel concorso internazionale torna alla ribalta anche Abdellatif Kechiche: uno che ha vinto una Palma d’Oro (per “La vita di Adele”, nel 2013) e poi ha scelto di rivendersela all’asta per finanziare il suo mega-progetto “Mektoub my love”. Che ha visto un “Canto Uno” (apprezzatissimo e poi travolto dalle polemiche), un “Intermezzo” (pure peggio: mai arrivato in sala) e ora questo “Canto Due”, presentato in anteprima mondiale a Locarno. Ha diviso e con ogni probabilità non lascerà il segno, ma nei suoi 134 minuti ha saputo divertire e ha messo in mostra una Jessica Pennington capace di farsi tanto odiare quanto amare con la stessa intensità, costruendo un personaggio che non può lasciare indifferenti.

Sulla strada con Kerouac

Ebs Burnough firma un omaggio – non il primo, forse neppure l’ultimo – al romanzo capolavoro di Jack Kerouac, “Sulla Strada”. Di “Kerouac's Road: The Beat of a Nation”, presentato fuori concorso, scegliamo di sottolinare soltanto la più originale, e azzeccata, definizione del rapporto tra Sal Paradise (Jack Kerouac) e Dean Moriarty (Neal Cassidy) mai sentita. Ovvero: quando “FOMO meets YOLO”. Applausi.

Fiore o foglia profumata, nessuno nel mondo da i nomi come i Persiani che preferiscono però non essere chiamati con nomi che gli hanno dato i Greci. . Dicono di lei: "Si distingue soprattutto per un'intensità interpretativa singolare che sembra emanare naturalmente dalla sua carne, e che si manifesta con la discrezione dei piccoli." Dicono bene. Eppure in "Alpha" magnificamente diretto da Julia Ducournau, sotto due ore di una luce tanto veridica quanto impietosa che poche star internazionali accetterebbero, i suoi gesti e la palette delle sue espressioni si moltiplicano. "Per Julia abbiamo tutti dato il 200%. Io non ho mai dato così tanto, Jean-Charles Clichet è dimagrito sino a non riuscire più a reggersi in piedi per rendere il suo tossico terminale credibile."
La sua di vita è invece incredibile: Teheran classe 1983, figlia di un marxista perseguitato dal regime iraniano, fugge a Parigi, dove non casualmente era in esilio l'Ayatollah Khomeini e si deve totalmente reinventare. Ogni regista che vede i suoi occhi la vorrebbe. Gira "Paterson" per Jarmusch ma Hollywood - che non le garba - le offrirebbe camionate di presidenti spirati per farle interpretare la sexy femme persiana che protegge gli interessi della Repubblica islamica avvelenando e martirizzando. Ovviamente no.
Dunque "vive la France!" che lei considera un'adolescente di 14 anni libera per natura, eccessiva e sofferente. Torna a casa, qualcuno la vorrebbe nel famigerato carcere di Evin, qualcuno la vorrebbe sposare. Il giudice che ha condannato tutti i maschi della sua famiglia l'avvicina e le dice di adorarla e le mostra le foto sul telefono. Impossibile? Non in Iran. Quando parla del suo Paese si commuove. I Persiani parlano e scrivono per metafore da duemila anni, ecco perchè madame G dice che da quelle parti tutto è possibile. Da duemila anni...e continua. Più di un fiore, madame G è un dono.

tg24.sky.it

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