L’opera verrà
presentata nel contesto della mostra NOW NOW. Quando
nasce un’opera d’arte
Mario
Schifano al
Meeting di Rimini. Una delle sue opere più monumentali (10 metri per 4),
intitolata La Chimera, arriverà alla manifestazione di fine agosto
nel contesto della mostra “NOW NOW. Come nasce un’opera d’arte”, un
progetto di Casa Testori, curato da Davide Dall’Ombra, Luca Fiore,
Giuseppe Frangi e Francesca Radaelli.
L’opera
di Schifano, realizzata dal vivo davanti a un pubblico di 6mila persone, il 16
maggio 1985 in Piazza SS. Annunziata a Firenze, in occasione dell’inaugurazione
dell’anno degli Etruschi, è la giusta introduzione per un percorso che vuole
essere un affondo su un aspetto centrale dell’arte contemporanea, il fatto,
cioè, che essa nasce ORA. Il
visitatore della mostra ha la possibilità di vedere sette giovani artisti al
lavoro,
intenti a creare un’opera caratterizzata da un compimento finale, al termine
della settimana, e da raggiungimenti intermedi, visibili giorno dopo giorno.
I
sette artisti, che usano tecniche e linguaggi molto diversi tra loro,
trasferiscono in fiera il proprio studio, mettendosi a nudo, a
disposizione dei visitatori, dei loro sguardi ma anche delle loro domande e
osservazioni. Si tratta, a quanto ne sappiamo, di un esperimento mai tentato
prima, almeno con questi numeri e intensità performativa, che va oltre il
concetto di arte partecipata, superando il rischio del voyeurismo, o
dell’effetto Grande Fratello, grazie a una componente di interazione che non
mancherà certamente, non solo grazie a momenti di dialogo con i visitatori, ma
anche in conversazioni pubbliche giornaliere, cui è dedicata un’apposita area in
mostra.
È
così che Elena
Maria Canavese (Milano,
1989) monta i suoi set fotografici tratti dal quotidiano, perché i piccoli
oggetti domestici arrivino a raccontarci luoghi e immagini dell’universale:
dall’universo in una cucina alla cucina dell’universo. Danilo Sciorilli
(Atessa, CH, 1992) pone l’accento sul senso dell’esistenza in rapporto con la
sua inevitabile fine: la racconta con gli strumenti dell’animazione video che lo
caratterizzano e con l’inedita trasformazione di alcuni giochi seri della nostra
giovinezza. Alberto Gianfreda (Desio, MB, 1981) presenta le sue sculture
di ceramica frantumata e ricomposta per diventare mutabile e in movimento: alla
storia umana che ha sempre animato la sua opera, si aggiunge ora la lotta
metaforica del regno animale. A Elisa Muliere (Tortona, 1981) spetta
portare in mostra la pittura, con la sua energia informale e poetica, intenta a
tradurre in colori e forme le note di un’ossessiva musica contemporanea.
Alberto Montorfano (Como, 1984) declina il proprio tratto a grafite, in
una sovrapposizione continua di volti, presi dagli scatti fotografici diretti:
una registrazione dei flussi del “popolo” di Rimini che si interroga su immagine
multipla e identità. bn+ brinanovara,
al secolo Giorgio Brina (Milano, 1983) e Simone Novara (Milano,
1984), con le mappe di gommapiuma, tessuto e marmo bianco di carrara, stese di
giorno in giorno dietro a un paio di idoli di ghiaccio in scioglimento,
raccontano la storia verosimile di un Iceberg che punta la latitudine di Rimini,
esemplificando al visitatore quanto può essere difficile raggiungere la
semplicità. A completare la squadra non poteva mancare il linguaggio video,
grazie a Stefano Cozzi (Segrate, MI, 1989), che realizza un
cortometraggio artistico della mostra stessa, documentandola in un video che
crescerà di giorno in giorno, dall’arrivo degli artisti alla conclusione delle
opere.
Questa
mostra compie una terna di progetti espositivi che Casa Testori ha curato per il
Meeting di Rimini, con l’intento di avvicinarne il pubblico all’Arte
Contemporanea (Tenere vivo il fuoco. Sorprese dell’arte
contemporanea, 2015 e Il passaggio di Enea. Artisti di oggi a tu
per tu con il passato, 2017, quest’ultima con opere di Andy Warhol,
Michelangelo Antonioni, Emilio Isgrò, Alberto Garutti, Giovanni Frangi, Adrian
Paci, Wim Wenders, Andrea Mastrovito, Gianni Dessì). L’obbiettivo era quello di
condividere con un bacino allargato di persone di ogni età e provenienza
(nelle edizioni precedenti i visitatori sono stati oltre 20mila) la
bellezza e necessità dell’espressione artistica di oggi. Rispetto a quella del
passato, l’Arte Contemporanea richiede probabilmente maggior disponibilità
d’ascolto da parte del visitatore e abbisogna di oneste chiavi d’accesso, che il
curatore ha il dovere di offrire. Sta di fatto che le prime due mostre si sono
dimostrate in grado di regalare al pubblico importanti occasioni di conoscenza
del proprio presente, spesso grazie a un’inaspettata empatia del desiderio.
Schifano
e La Chimera
«Mario
salì su un palco quasi a misura del quadro, i fari proiettavano una luce
abbagliante, la gente lo sfiorava allungando le braccia per poterlo toccare.
Cominciò nel brusio generale a fare il colore del fondo su quell’enorme distesa
di tele bianche sdraiate. Gli assistenti gli passavano i secchi pieni di
vernice, i minuti scorrevano e Mario sempre più veloce si muoveva da una parte
all’altra distribuendo rapide pennellate, posizionando e contornando le sagome.
I ragazzi non riuscivano a stargli dietro, Achille cominciò la sua cronaca ma
dovette sopportare di tutto, perché aveva dei detrattori tra il pubblico. Quando
finalmente alzarono le tele per far colare lo smalto la gente ammutolì, i fischi
cessarono. Ci fu un’esternazione di meraviglia. Davanti ai nostri occhi aveva
preso vita un paesaggio con la linea dell’orizzonte molto bassa. Dal terreno le
sagome grondanti delle chimere partivano in volo verso il blu profondo del
cielo, capovolgendosi e volteggiando nell’aria verso il bianco accecante della
luce al lato opposto, a dissolversi come sogni al mattino.
Non
si sentiva volare una mosca. Poi portarono un trabatello o come si chiama quella
specie di piattaforma sopraelevata, Mario ci salì sopra per finire il lavoro e
cominciò rapito a dipingere con due mani contemporaneamente. Sì, con due
pennelli insieme: sembrava un direttore d’orchestra. Da sotto si fecero avanti
li amici, gli assistenti, per aiutarlo, ma lui li cacciò via e seguitò nella sua
sinfonia mentre uno schermo gigante mandava la sua immagine. Lo guardavo e
pensavo che c’era riuscito, aveva realizzato un’opera emozionante come la sua
esecuzione, uno spettacolo a cui tante volte avevo assistito da sola».
Monica
De Bei,
moglie dell’artista (da Luca Rochi, Mario Schifano. Una biografia,
Johan&Levi)
I
cieli di Schifano
«La
velocità, rapinosa e autorale, ardente e felice come il respiro d’un neonato e
sospesa, insieme, sull’eterno come il respiro d’un morente: la velocità, dicevo,
con cui su queste tele il colore corre, fruga, s’esalta in immagini, si
glorifica, si frantuma, cola in lunghissime feste, lagrime e bave, non ha oggi,
paragone alcuno.
V’è
qualcosa, per l’appunto, dell’ultimo Monet, ma come ingagliardito da un viraggio
glorioso, da un’inattesa, mattinale vittoria; qualcosa v’è, anche, d’un Matisse,
ma come gettato tutto sulle carezze, sulle voci, sui brividi, sull’albe e sui
respiri dell’aperto...
Sono
opere, non di fuga dalla terribile, cieca ed egoistica mediocrità meccanica del
presente, ma che, del presente, formano un’alternativa lucida e piena, oltre che
una sfida; nel nome dell’uomo, della sua breve eppur infinita levità e,
ripetiamolo, dell’infinita levità e bellezza di tutta e intera la
creazione».
Giovani
Testori, dal
“Corriere della Sera” del 1983
Chi
è Mario Schifano
«Schifano
diceva: “La pittura è la mia maniera di esistere”. E la sua pittura non aveva
altre pretese che non quella di vivere, di essere…
Cè
la stagione della Pop Art all’italiana, contemporanea a quella americana:
Schifano più che opporsi al dilagare del nuovo immaginario consumistico, lo fa
suo, lo metabolizza. Ci sono i complicati anni Settanta, che lo vedono
intercettare inquietudini, delusioni, spaesamenti; una stagione anticipata dal
suo celebre ciclo “Compagni compagni” (1968), icona di un sogno fallito, ma
anche testimonianza dello slancio umano e dell’aspirazione di libertà che
l’avevano caratterizzata.
Gli
anni Ottanta vedono Schifano nel flusso vasto del ritorno alla pittura. Ma il
suo accento ha una freschezza che lo tiene al riparo da qualsiasi spirito
revanscista, o da un’arte che si rifugia nelle allusioni o nelle metafore. Il
fatto chiave di quegli anni è la nascita del figlio tanto desiderato. Marco
viene alla luce nel 1985, l’anno della Chimera, e per Schifano rappresenta un
punto di scaturigine creativa impressionante. Non solo. L’arrivo del figlio
mette a nudo il suo cuore poetico, lo scopre in maniera definitiva, lo libera. È
uno Schifano che procede con gli occhi sgombri del bambino. La sua mente si apre
a tutte le cose senza mai schedarle. Il mondo sembra sempre stupirlo, tant’è
vero che quando lo trasforma in pittura (perché Schifano trasformava in pittura
tutto quel che toccava), è come se rappresentasse un mondo mai visto. Un mondo
appena nato...»
Giuseppe
Frangi,
dal testo in catalogo