AGI - Da Testaccio fino alle passerelle della Parigi Fashion Week, il messaggio dell’artista Elena Bellantoni risuona come un grido di liberazione per tutte le donne. L’installazione “Not Her” tra politica e pop è stata voluta dalla direttrice creativa di Dior, Maria Grazia Chiuri, da tempo impegnata nell’ingaggiare artiste capaci di indagare il mondo femminile e femminista, facendo delle sfilate l’occasione per veicolare appelli e riflessioni che mettano al centro il ruolo della donna.
Elena Bellantoni, classe 1975, è un’artista che del corpo e della figura umana ha fatto il perno della propria ricerca e sperimentazione, in un lungo curriculum che oramai vanta esposizioni in tutto il mondo, docenze nelle principali accademie italiane, oggi in Naba, e pubblicazioni. Il suo prossimo libro “Parole passeggere. La pratica artistica come semantica dell'esistenza” uscirà la prossima settimana per Castelvecchi. “Non è un catalogo, ma un'auto-etnografia attraverso la quale cerco di fare il punto sugli incroci e le interferenze tra la mia vita personale e lo sviluppo del mio lavoro. L'arte è totalizzante, io mi sento sempre artista” spiega.
“Not her” è un progetto nato nel 2023, ma che ha alle spalle un lungo lavoro di ricerca. “Chiuri ha scelto uno dei miei lavori forse più complessi; dal 2015, infatti, raccolgo un archivio on going ad oggi di circa 400 immagini, che racconta la pubblicità sessista dagli Anni ‘40 ai Duemila. Queste immagini, decisamente ‘perturbanti’, sono divise per categorie nel mio computer: partono dallo stereotipo anni ‘40-‘50 della donna moglie e casalinga, ‘angelo del focolare’, diventano negli anni ‘60 ritratto delle donne subordinate rispetto all’uomo; passano per la donna bambolina passiva, provano ad emanciparsi negli anni ‘70 ma indicano sempre una donna-oggetto, e negli anni ’80 diventano ancora più spinte nel linguaggio e nell’uso del corpo e negli anni duemila arriviamo anche ad immagini di donne contese tra uomini quasi fosse un ‘rape/stupro’ di gruppo” spiega all’AGI Bellantoni mentre si trova ancora a Parigi per le sfilate.
“Tutto questo materiale di ricerca è diventato la base su cui ho costruito il mio lavoro di natura concettuale che volutamente ha assunto caratteristiche di una produzione con un’estetica pop ma con una forte connotazione politica. Per fare questo mi sono messa nei panni di un ‘pubblicitario sessista’ – continua Bellantoni - ho progettato 24 pubblicità con i claim relativi e con in più altre 24 frasi, come fossero le “risposte” linguistiche alle immagini che ho prodotto. I cliché dominano queste immagini, inseguendo le tendenze del mercato. I corpi diventano merce: ‘Listen your body beat i’m not a piece of meat’, rispondo io”.
Così su grandi led di 7 metri di altezza per 36 di lunghezza, ricompaiono le immagini delle vecchie pubblicità, ma stavolta sono reinterpretate direttamente da Bellantoni, che dell’installazione diventa direttamente protagonista con il suo corpo. “Non è stato difficile perché purtroppo esiste un alfabeto che domina queste produzioni, dei codici che vogliono per esempio sempre la donna raffigurata più piccola rispetto ad un uomo dominante” spiega.
“Dal punto di vista visivo ho scelto di lavorare proprio con le griglie degli split-flap, un meccanismo analogico adattato al linguaggio digitale in cui le immagini si ripetono e vengono in questo modo scandite dal tempo interno di questo congegno. Gli split-flap producono rumore, cadenzano il sovrapporsi delle figure nel loro arco temporale, sono in qualche modo invadenti e sottolineano, come i due colori giallo e fucsia lo stato delle cose: il corpo della donna e il suo sfruttamento come oggetto del desiderio, dello sguardo maschile dagli anni ‘40 ad oggi”.
Quella proposta è quindi una macchina del tempo, che in un nastro distopico racconta la donna attraverso le lenti distorte dei claim della pubblicità. Ma la narrazione è interrotta dalle parole che Elena Bellantoni ha scelto per opporsi a questa cultura dominante: ‘Nobodies is perfect’ – ‘I’m not only a mother, a wife, daughter, I’m a woman’ – ‘We want kids, but we want roses too” sono solo alcuni dei messaggi che Bellantoni lancia dalla passerella di Dior per cambiare prospettiva sul ruolo della donna. “Uso l’inglese per decostruire le narrazioni dominanti. Io scompaio dalle immagini e ci sono solo le parole, mentre le modelle sfilano e sfilando diventano loro le performer” racconta.
Il messaggio finale? “Io dico NO al meccanismo produttivo di mercificazione del corpo della donna, all’utilizzo di quest’ultimo come strumento di godimento e di controllo, ai dispositivi di potere e di consumo che regolano i confini e le relazioni tra corpi. - insiste l’artista - La pubblicità è l’anima del profitto e in qualche modo rappresenta i valori dominanti spesso legati ad un individualismo spinto. Quello che emerge non è quindi solo un discorso commerciale e di mercato, ma il diritto di modellare coscienze, il desiderio. ‘Not Her’ è un racconto verbo-visivo che si snoda per immagini che prende forma nel paradosso, nello sconfinamento, nella quantità massiccia, nell’accumulo d’immagini e frasi che ci martellano”.
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